Domenica 22 giugno 1636: strage in riva al Ticino
La battaglia di Tornavento fu uno dei più grandi fatti d'armi dell'epoca in Italia. Per la cronaca "vinsero" i francesi sugli spagnoli, ma senza alcuna conseguenza durevole: troppo pesanti le perdite. Lonate, saccheggiata, non si riprese per due secoli (nella galleria, le immagini della rievocazione 2010)
A distanza di 374 anni continuano come ogni anno le rievocazioni in costume della Battaglia di Tornavento: domenica 27 giugno picche e moschetti hanno dominato nuovamente il campo (vedi galleria foto allegata). Ripubblichiamo per l’occasione un articolo sul contesto storico del fatto d’armi.
"Franza o Spagna, pur che se magna". Dicevano così i nostri antenati al tempo delle guerre d’Italia, nel Cinquecento, stretti fra scorrerie, pestilenze, fame. Cent’anni dopo non è che le cose fossero poi migliorate di molto. Di fronte c’erano sempre gli arcinemici, da una parte gli spagnoli, dall’altra i francesi. Un episodio poco noto a margine della Guerra dei Trent’Anni che devastò la Germania ma ebbe pesanti riflessi anche in Italia (famosa la peste descritta dal Manzoni ne I Promessi Sposi) fu la battaglia di Tornavento, combattuta domenica 22 giugno 1636 tra un corpo francese agli ordini del maresciallo di Créqui e i difensori spagnoli del Ducato milanese comandati dal marchese di Leganès. Duemilaottocento morti ammazzati dopo, era cambiato ben poco, e sinceramente non ha molta importanza chi vinse: come dopo moderne elezioni, tutti proclamarono la "vittoria". In compenso, la vicina Lonate Pozzolo non si riprese dai saccheggi delle truppe prima e dopo lo scontro, e da fiorente borgo artigiano si ridusse a modesto centro agricolo, con la fuga a gambe levate di molti maggiorenti verso più sicuri lidi.
All’epoca il confine dello Stato milanese, dominato dalla Spagna di re Filippo IV, era sulla Sesia. I francesi, in guerra contro le potenze asburgiche (Spagna e Austria, con quest’ultima che deteneva il titolo prestigioso e antico del Sacro Romano Impero della nazione germanica), mossero dritti verso Milano accompagnati dagli alleati savoiardi con il duca Vittorio Amedeo I in persona alla testa: in tutto erano circa 14.000 uomini. Il Leganès, che era accampato con i suoi tercios (reggimenti) irti di picche e moschetti ad Abbiategrasso, muoverà poi incontro agli invasori lungo il Ticino. La campagna era motivata dal fatto che un precedente tentativo di invasione compiuto l’anno precedente attraverso i Grigioni (neutrali… ma non troppo, come la strana Svizzera per nulla unita di quei tempi) e la Valtellina era stato infine "stoppato", nella primavera del 1636, all’altezza di Lecco.
Grazie al curato di Lonate Francesco Comerio (1610-1645) abbiamo un resoconto degno di fede di quanto accadde. Il 13 giugno, un venerdì, i franco-savoiardi erano a Oleggio. Il giorno dopo milizie locali improvvisate sparavano già verso l’altro lato del Ticino per dare il… benvenuto al nemico. Vistolo numeroso e ben armato, se la diedero, saggiamente, a gambe. Con gli attaccanti padroni del traghetto sul fiume, la porta della Lombardia era aperta. I francesi costruirono un ponte di barche e il 16 e i 17 misero a sacco la sventurata Lonate, rubando, incendiando, stuprando e ammazzando. Secondo un’altra fonte di parte, Girolamo Brusoni, che scrive a vent’anni dai fatti, i primi francesi per attraversare il Ticino si sarebbe serviti di un "passatore" che poi invece di pagare assassinarono; non solo, ma sarebbero andati in ricognizione camuffati da spagnoli, cioè con le bande rosse sulle divise. Dopo il sacco le forze degli alleati si rimisero in moto: i francesi verso Somma Lombardo e il suo castello, i savoiardi, rimasti di là dal fiume, verso Borgo Ticino. Sabato 21 giugno vi fu un rapido dietrofront: si era saputo che gli spagnoli (termine che ovviamente ricomprende, in genere, i sudditi del re, quindi anche lombardi, napoletani, fiamminghi, ecc., come tra i francesi numerosi erano in genere gli svizzeri) erano in arrivo. Questi, affaticati per la marcia forzata, si accamparono nella brughiera verso Castano, mentre i francesi fortificavano in tutta fretta il sito di Tornavento, nella località detta del Panperduto.
All’alba – le 5, allora non c’era l’ora legale – iniziò uno scontro caotico e sanguinoso che andò avanti fino alla terza ora delle notte, secondo le cronache: ed essendo il 22 giugno vuol dire che si combattè per diciotto ore filate diciotto… Di fronte alle pesanti perdite francesi, i savoiardi vennero in rinforzo nel pomeriggio attraverso il Ticino, dando il loro contributo al bagno di sangue in svolgimento, tra urla in più lingue e dialetti, fumo, sterpi in fiamme, assalti e contrassalti, sciabole sguainate, moschetteria a raffica, corpi infilzati da picche. Il tutto in un’area "sin arbol" e "con falta de agua" come scriveranno i comandanti iberici: una spianata desolata, senza ombra, senz’acqua. Secondo fonti coeve, sul campo restarono alla fine duemila "francesi" e ottocento "spagnoli". Senza contare le molte centinaia di feriti, spesso destinati a morire tra crudeli sofferenze. L’esercito spagnolo, viste vane le speranze di ulteriore soccorso, abbandonò infine il campo con il favore dell’oscurità, tornando verso Turbigo e Abbiategrasso. Tatticamente avevano vinto gli invasori: ma a che prezzo!
I francesi, ebbri di vittoria, tornarono a saccheggiare Lonate senza risparmiarne i monasteri. Da Milano giunsero dei cappuccini inviati dall’Arcivescovado per supplicare di avere rispetto dei luoghi sacri: il duca Vittorio Amedeo di Savoia, egli stesso ferito, mosso a pietà fece mettere una guardia armata a tutela delle (ormai) povere monache. Nel frattempo Lonate era deserta "essendo tutto il popolo (…) et le terre circonvicine per salvare la loro vita altrove fugito". Non avendo più niente da saccheggiare, i francesi il giorno 29 diedero allegramente alle fiamme Gallarate. Mercoledì 2 luglio, in un ennesimo vandalismo in grande stile, tolsero l’acqua al Naviglio Grande chiudendone l’alveo a Nosate: un danno netto per il vivace commercio milanese. Fu solo il 3 luglio che, per la mancanza di vettovaglie e il fetore degli innumerevoli cadaveri lasciati a marcire al sole, gli invasori se ne andarono, marciando a nord. Il 16 luglio, infine, l’esercito franco-sabaudo rientrò dall’altra parte del Ticino dopo aver occupato per qualche giorno Sesto Calende e Somma Lombardo, di certo ben poco entusiaste di riceverlo e subirne le prepotenze.
Dopo tutti questi lutti, saccheggi, rovine, sofferenze, nulla cambiò: il ducato milanese sarebbe restato in mani spagnole fino all’inizio del Settecento.
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