Uccisa dal monossido la mamma di Elisabetta Ballarin
Cristina Lonardoni aveva 53 anni. La figlia sta scontando 22 anni di carcere per il suo coinvolgimento nell’omicidio di Mariangela Pezzotta, commesso dalle Bestie di Satana nel 2004. La donna lavorava nella ex cooperativa Primavera di Gallarate
Non l’ha uccisa il dolore per la terribile vicenda della figlia, ma nulla ha potuto fare contro il monossido di carbonio, un killer silenzioso che le ha tolto la vita nella notte tra sabato 11 e domenica 12 gennaio. Cristina Lonardoni (al centro nella foto), 53 anni, è morta nella sua casa di via san Materno 3D, nel cuore della vecchia Cuirone, frazione di Vergiate, mentre era sul divano davanti allo schermo del suo pc: la caldaia ha sprigionato il gas letale a causa di un mal funzionamento. La donna era la madre di Elisabetta Ballarin, condannata a 22 anni di carcere per il suo coinvolgimento nell’omicidio di Mariangela Pezzotta, commesso dalle Bestie di Satana nel 2004 nei boschi di Somma Lombardo. Cristina Lonardoni era stata vicina alla figlia in tutte le fasi del processo (il padre della ragazza, Alberto, ex mario della Lonardoni, è morto nel 2005), cercando di aiutare quella che era un’adolescente a diventare una donna e a liberarsi dell’incubo nella quale era piombata e dal quale faticosamente sta cercando di uscire. La ragazza è stata avvertita della disgrazia nel carcere di Brescia dove è detenuta dall’avvocato Francesca Cramis, che l’ha descritta "distrutta" nell’apprendere la notizia.
Cristina Lonardoni abitava da anni nella vecchia corte di Cuirone: i vicini ne parlano come di una persona schiva, ma c’è chi sa bene quanto fosse attiva sia per il proprio piccolo borgo adottivo, sia per il suo lavoro. Era infatti impegnata a ricostruire i cocci della Cooperativa Primavera, di cui era responsabile del settore ristorazione prima del crack e poi portavoce dei suoi colleghi senza stipendio nel mezzo delle fasi processuali. Negli ultimi mesi la sua figura si è messa in evidenza nel tentativo, riuscito, di far ripartire la cooperativa sociale. Per questo e per la sua storia personale lastricata di difficoltà sempre affrontate con una determinazione ammirevole, chi la conosceva esclude che possa essere stato un gesto volontario. Sarebbe stata la caldaia malfunzionante a mettere fine alla vita di una donna che, suo malgrado, ha dovuto combattere per buona parte della sua esistenza.
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