Lidia Macchi, le nuove accuse a Piccolomo

Emergono altri particolari sugli elementi che secondo la procura generale di Milano indicherebbero come omicida il 64enne di Caravate

Emergono nuovi particolari dall’inchiesta sul delitto di Lidia Macchi. Secondo la procura generale il cadavere venne ritrovato nei boschi del Varesotto nel 1987 in un cartone da imballaggio che venne trovato sopra il corpo della ragazza uccisa con su scritto ”elemento anta olmo, maneggiare con cura”. Il sostituto pg ha condotto accertamenti e ha scoperto che quegli imballaggi venivano usati negli anni ’80 da un’azienda di Laveno (Varese) e che il legno di olmo era utilizzato prevalentemente per mobili molto piccoli adatti soprattutto per le camerette dei bambini. Le due figlie di Piccolomo, testimoniando, hanno raccontato che nel 1986 il padre aveva comprato mobili di quel tipo per la camera del loro fratellino.

Inoltre, gli inquirenti hanno confrontato l’identikit redatto all’epoca sulla base delle testimonianze di quattro ragazze che avevano subito tentativi di aggressione in quel periodo, negli anni ’80, nel parcheggio dell’ospedale di Cittiglio (Varese) anche con un’elaborazione  ‘photofit’, compatibile, secondo gli inquirenti, con una fotografia che ritrae Piccolomo all’epoca.
Da un atto notarile, infine, risulta che il primo gennaio del 1986 Piccolomo con la famiglia si era trasferito in una casa distante poche centinaia di metri da quella della famiglia Macchi.

Il prete indagato e scagionato dalla procura generale di Milano, Don Antonio Costabile, all’epoca responsabile del gruppo scout frequentato da Lidia, si sottopose alla prova del dna, una delle prime in Italia, ma il risultato fu negativo. Secondo il pg Manfredda l’uomo ha subito un grave danno di immagine in questi 27 anni.

L’agenzia Ansa ha riportato le dichiarazioni del fratello di Lidia Macchi. "Noi – ha spiegato Alberto Macchi – non dobbiamo trovare un colpevole a tutti i costi e attendiamo il lavoro dei magistrati. Per noi – ha aggiunto – Piccolomo è uno sconosciuto e da questo punto di vista, se un processo provasse che è stato davvero lui, l’unico sollievo nel dolore sarebbe che ad uccidere non è stata una persona che frequentava la nostra casa".

Le figlie di Piccolomo lo accusano: "Noi abbiamo sempre detto ai pm di Varese – dice Tina Picoclomo – che lui aveva ucciso nostra madre e che ci ripeteva, quando io e mia sorella avevamo 15 e 12 anni, che aveva ammazzato Lidia. Intanto rideva e io pensavo che lo dicesse per spaventarci, ma mia sorella è sempre stata convinta che fosse lui l’assassino”.


Redazione VareseNews
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Pubblicato il 28 Luglio 2014
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