Mi chiamo Giuseppe per gli amici Peppino e sono morto
Nel nuovo romanzo di Santi Moschella, pubblicato da Armando Siciliano Editore, i morti di mafia parlano con i vivi per riscattare tutti coloro che hanno "tollerato" tacendo la verità o piegandola ai propri interessi
Solo un siciliano dalla forte tensione etica e morale poteva scrivere questo libro. Santi Moschella, che nella vita reale è uomo di legge, firma un romanzo che merita di essere letto perché spiega con grande lucidità il retroterra culturale che alimenta il sistema mafioso.
A partire dal titolo, “Mi chiamo Giuseppe per gli amici Peppino”, questo libro evoca vicende e personaggi realmente esistiti per farli rivivere in una storia che di fatto è la loro storia, in un gioco delle parti che viene dichiarato fin dal prologo: «Mi chiamo Giuseppe Incontrera, per gli amici Peppino e sono morto. Quando ho iniziato a scrivere questi appunti non avevo l’intenzione di rubare, in modo così invadente, la scena all’autore, ma desideravo soltanto di stimolarlo a tener desta la sua memoria».
Moschella avverte se stesso e tutti noi che il pericolo più grave, quando ci si crogiola nell’intima e comoda quotidianità, è l’oblio, la dimenticanza di chi è stato sacrificato perché affermava la propria dignità di cittadino.
Il libro si apre con la denuncia di un metodo che lo Stato ha usato per boicottare se stesso e i suoi uomini migliori: il depistaggio, «l’esercizio più familiare in questo paese». «Peppino Incontrera si è suicidato» dice il giornalista, sapendo di mentire, sotto lo sguardo perplesso di Falcone, Borsellino e il generale Dalla Chiesa riprodotti magistralmente da Antonio De Blasi.
I morti parlano con i vivi per riscattare tutti coloro, giornalisti compresi, che con quel sistema hanno convissuto, tacendo la verità o piegandola ai propri interessi. La mafia sa come isolare gli onesti e lo fa nel modo più subdolo, cioè servendosi della capacità delle parole di gettare un’ombra malevola sulla tua moralità, onestà e integrità, di insinuare un doppio fine che non c’è. La mafia sa «mascariare», ovvero segna con il discredito le proprie vittime, direbbe l’attore e drammaturgo Giulio Cavalli, uno che quel segno lo conosce bene e vive sotto scorta da anni. Lo sa anche uno dei personaggi del romanzo, Giovanni Paolo De Nisi, che porta nel suo nome la memoria dei due grandi magistrati. Anche per lui «la vita vale meno del bottone di questa giacca» se non c’è una direzione etica, un senso morale a cui ispirarla. Il romanzo di Moschella, pubblicato da Armando Siciliano Editore, quella direzione la indica con lucidità.
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