De Gregori, un vero “principe” per il Premio Chiara
Applaudito da tutta l'Aula Magna dell'Università dell'Insubria, Francesco De Gregori ha ritirato il Premio Chiara "Le Parole della Musica": "Sono onorato, amo Chiara. Io sono solo un cantante, uno superficiale"
In sottofondo Rimmel e per lui una standing ovation con tutta l’aula magna dell’università Insubria in piedi. Francesco De Gregori in una bella domenica di maggio è arrivato a Varese per ritirare il premio alla carriera del Premio Chiara “Le Parole della Musica”.
Brillante, disponibile e ironico, ha tenuto il pubblico per oltre un’ora e mezza raccontando molto del suo cammino, a partire proprio dall’autore di casa: «Amo Piero Chiara e lo considero uno dei maggiori scrittori in Italia. La sua lettura non richiede un’adesione ideologica, anche se lui, nella sua semplicità è un autore attento alla storia, basto pensare alle posizioni sul fascismo che escono da tanti suoi personaggi. Per scrivere un romanzo bisogna avere una storia e lui è capace di raccontarle. Leggendo Chiara non ci si annoia».
Il “principe” è partito in quarta con la letteratura, ma subito ha specificato: «Non sono un intellettuale. Faccio il cantante, che non è poco, ma io sono uno superficiale».
Sul palco con lui e Vittorio Colombo anche Enrico De Angelis, direttore artistico del Club Tenco e Antonio Silva, presentatore del Tenco. Un grande orgoglio per Bambi Lazzati e l’organizzazione del Premio Chiara. La cinquina dei premiati in questi anni parla chiaro. Il primo a ricevere il premio alla carriera fu Francesco Guccini, dopo di lui Paolo Conte, poi Luciano Ligabue per arrivare a Gianna Nannini e quest’anno a Francesco De Gregori. «Non amo i premi, ma quando mi hanno chiamato per comunicarmi la scelta del mio nome, ho accettato subito con emozione», ha detto De Gregori.
L’incontro con il cantautore romano è iniziato dal racconto di Viva l’Italia. «Il nostro è davvero un paese metà giardino e metà galera. Questa non è una canzone politica, anche se spesso è stata tirata per la giacchetta. Però si vede che deve esser resistente visto che mantiene ancora intatta la sua anima».
Sui suoi colleghi predecessori al premio De Gregori precisa che «almeno tre sono colleghi di Piero Chiara. Sanno scrivere. Stimo tutti e quattro e i loro testi sono forti, belli. Le nostre però sono canzoni dove l’intesa tra parole e musica deve esser chiara, ma non è poesia. Non basta metter rime per far poesia. È vero che noi cantautori abbiamo rivoluzionato la musica pop e questo mi sembra già molto».
Dopo un video del 1974 in cui canta Niente da capire, De Gregori si accende una sigaretta. Un gesto che in aula magna suscita ilarità e anche stupore: «»Non sarà mai successo ma è il prezzo che dovete pagare per aver fatto passare questo video. Ora ho bisogno di rilassarmi», ha spiegato.
È il linguaggio il protagonista della canzone e De Gregori è stato uno degli innovatori: «Io ho fatto le canzoni come mi piacevano. Non hanno linearità, ma si capiscono. È un po’ come l’arte astratta. Se uno non capisce Alice come può capire Picasso? Non c’è niente da capire è come una risposta a chi criticava Alice dicendo che non si capiva niente».
Quest’anno Rimmel compie quarant’anni: «È un disco di successo che è rimasto. Resto colpito ancora quando le persone vengono e mi portano Rimmel. Farò un concerto a Verona con tanti colleghi come Fedez, Caparezza, Sangiorgio e tanti altri. Per la prima volta farò tutte e nove le canzoni del disco».
Emozione forte quando passa un videocon Lucio Dalla alla festa di Capodanno del 1995 ad Assisi . «È vero che incitai Lucio a scriversi i testi da solo. Quando lui parlava aveva un linguaggio così ricco che alla fine per fortuna mi ascoltò e si mise a farlo».
Il primo luglio De Gregori aprirà un concerto di Bob Dylan. «Per lui andrei a comprare il giornale tutti i giorni. Per me aver incontrato la sua musica è stato importante». Quando De Angelis cita Enrico Ruggeri che attacca De Gregori perché “le canzoni non si scrivono dalle torri d’avorio”, il Principe accende un’altra sigaretta, ma poi ci scherza su׃ «Perché scrivere una canzone l’ho appreso da Fabrizio De Andrè. Siamo stati amici e con me ha conosciuto la musica americana».
L’incontro si è chiuso con Viva voce, l’ultimo disco inciso che è come una cover di sè stesso dove le canzoni sono reinterpretate. «Non esiste una versione ufficiale, se non forse quella della prima registrazione. Questo però non vuol dire che non si possa cambiare il modo di interpretarla. Questo è anche un motivo perché si va ai concerti, per sentire una storia viva. Faccio un mestiere giocoso e un po’ di autoironia non guasta».
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