“Il ponte del fiume Buna”: si chiude la tournè della Zattera teatro
Il viaggio di Martin Stigol in Albania si conclude. Gli occhi pieni di immagini nuove e profonde. Un'esperienza unica, come unici sono i ragazzi incontrati
“Il campo ora davvero sembra un altro, lo squallore, il fango, la
sporcizia magicamente, come nelle favole, diventano saloni dorati
e feste danzanti, cristalli e sete preziose…Per lasciare impronte
ho bisogno di volare”.
Maurizio Stamatti, Colettivo Bertol Brecht di Formia.
A Scutari c’è un ponte che divide la città in due, e ogni mattina vi si passa per andare alla sala prove dove tutti i ragazzi del corso di teatro si danno appuntamento .
Questa era l’idea di partenza di Besmir Rrjoli, con il progetto R.O.M. Renew Our Mind: cercare di rinnovare il punto di vista di chi vive a contatto diretto con gli abitanti dei campi rom. Il segreto di questo progetto si basa sull’applicazione di modelli di animazione teatrale utilizzati come strumenti che mettono al centro l’arte della rappresentazione.
Questi quindici ragazzi, dai sei ai diciassette anni, hanno accettato la sfida, e per dieci giorni, senza fare assenze, si sono presentati al laboratorio per giocare a fare gli attori e gli acrobati, ma anche per condividere con i propri pari l’avventura di essere bambini.
I maschi se sono piccoli sono sempre con i genitori, ma se sono un po’ grandicelli stanno nei campi a curare le baracche che sono le loro case, fragili ma molto curate all’interno. Ogni mattina, dopo essere andati a prenderli grazie a dei permessi “speciali” (insieme agli educatori), cantavamo “ Number One” a squarciagola dentro a quel pulmino che sfrecciava per le strade di Skutari nel tragitto che ci conduceva fino al teatro.
Loro non girano in bici, e non mangiano sempre a pranzo, ma il giorno dello spettacolo erano agitati, emozionati e qualcuno ha pianto prima di iniziare. Hanno giocato con il sapone e poi hanno indossato le magliette del festival, per fare uno spettacolo di circa quaranta minuti, così intenso e così carico di comicità, da essere accolto con grande entusiasmo da tutto il pubblico presente nel salone della cattedrale Shen Shtjefnit.
Poi è arrivato il tempo dei saluti durante il quale non è stato facile dirsi addio, io all’ostello, e loro nei campi, io all’osteria e loro nei campi, io a Varese e loro con lo sguardo alto a dire “noi ci saremo, ma tu torna presto”.
Vi posso assicurare che questi progetti invogliano a modificare le nostre certezze, perché questi ragazzi hanno l’umiltà di rappresentare la forza del teatro creando immagini nitide, che vanno al di là della loro condizione sociale, e questo meccanismo è già uno dei perni fondamentali dell’arte di rappresentare se stessi.
A Skutari, da oggi, c’è un altro ponte di legno, costruito con ogni partecipante, ogni educatore, e ogni associazione che ha dato ali a questi quindici piccoli che non si sono sottratti all’arduo e particolare lavoro delle prove teatrali.
Quindici ragazzi che hanno dimostrato, in questa seconda edizione, di voler impegnarsi a far si’ che in un modo o in un altro si trovasse il modo di costruire insieme un pezzo della storia del teatro albanese di Scutari.
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