“Dov’è la salma di nostro figlio?”

Parlano i familiari di Oussama Khachia, il marocchino espulso a gennaio dopo i tweet sull'Isis. Sono stati avvisati per telefono da un giovane che aveva i documenti del ragazzo

brunello

I familiari di Oussama Khachia non sanno dove, come e quando sia morto il giovane 31enne. «Io voglio vedere la salma di mio figlio – afferma il padre Brahim – perché finora l’unica cosa che so è che è morto». A casa Khachia, a Brunello, è il momento del lutto: arrivano i vicini di casa, rivolgono le condoglianze. Sono italiani. Entra un amico di Oussama, si toglie le scarpe e si siede sul divano. Il tappeto della preghiera è al centro del soggiorno.

IL 14 DICEMBRE LA NOTIZIA DELLA MORTE

«Ho ricevuto la notizia il 14 dicembre, quando ero in Marocco – racconta Brahim -. mi è arrivata una telefonata da un numero privato. Un ragazzo mi ha detto solamente che Oussama è morto e mi ha fatto le condoglianze».

Ma come fidarsi di questa telefonata? «La persona che parlava aveva i documenti di mio figlio – continua – e aveva anche i nostri numeri di telefono, che lui teneva sempre in un taschino. Ha detto solo che è morto».

Il padre è tornato in Italia e sabato scorso l’ha comunicato ai familiari. Gli Khachia sono spaventati. E’ una famiglia molto conosciuta nel paesino di Brunello. Raccontano di quello che è accaduto loro: della vita travolta, a partire dall’espulsione subita da Oussama a gennaio. Difendono il fratello: «Lo stato lo ha cacciato per le sue opinioni, senza processo. Ha avuto la vita distrutta – osserva la sorella Amina – quando è stato cacciato è stato trattenuto in Marocco per un interrogatorio di 24 ore».

Amina è precisa nella ricostruzione e molto intuitiva, seppure dal suo punto di vista, nel cogliere le implicazioni politiche di questa vicenda. «L’Italia doveva dimostrare che si stava dando da fare – osserva – il Marocco dice che è andato via illegalmente, ma non è vero. In realtà non sapevano che aveva anche il permesso svizzero. Gli mancava la moglie ed è volato a Zurigo. Mio padre lo ha accompagnato all’aeroporto, In Svizzera però era pedinato. Aveva il terrore di essere rapito. Aveva ottenuto un lavoro da 7 mila euro al mese, perchè ha le mani d’oro come saldatore. Ma non ha potuto lavorare. Mi raccontava che aveva sempre quattro persone dietro di lui. Non dormiva, era come un ricercato».

IL 18 LUGLIO ULTIMO CONTATTO

La famiglia ha perso le tracce di Oussama lo scorso luglio: «Dalla fine del ramadan, il 18 luglio – osserva la madre – non abbiamo più saputo nulla». Ha scritto tramite facebook di non cercarlo più. Da allora, il buio. Mai una chiamata, mai un sms o altro. Lo scorso novembre Il Fatto quotidiano ha mandato in onda un’intervista realizzata in Svizzera, ma secondo i familiari è stata registrata molto prima.

IL 28 OTTOBRE ULTIMO ACCESSO WHATSAPP

Varesenews lo ha contattato il 16 novembre, subito dopo gli attentati di Parigi. Nessuna risposta.  Nella chat di whatsapp, c’è ancora scritto “ultimo accesso 28 ottobre 2015”. 

Dove può essere andato? E se si fosse recato in Siria per vedere con i suoi occhi com’è davvero l’autoproclamato stato islamico, come lui stesso ci aveva riferito in un’intervista? (Oussama si era dichiarato a favore dell’Is ma contro la violenza e lo aveva affermato anche durante un colloquio con la tv svizzera, nella trasmissione Falò). Secondo alcuni fonti investigative il ragazzo potrebbe essersi recato in Siria, ma queste stesse fonti non hanno idea di come sia morto. E se avesse voluto sottoporre, finalmente, alla prova della realtà il suo dissenso per le politiche occidentali, e la sua fascinazione per lo stato islamico?

Ma i familiari ribattono: «Non è giusto che si dica questa cosa, così si getta fango e si alimenta l’odio. E se fosse stato ucciso in Marocco o altrove?». «Io non so dove sia la salma di mio figlio – dice ancora il padre – bisogna essere corretti e informati prima di sapere come sono andate le cose, chiedo a tutti di aspettare».

Roberto Rotondo
roberto.rotondo@varesenews.it
Pubblicato il 22 Dicembre 2015
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