“Aveva paura che Lidia raccontasse la violenza”

Sesso, eroina e religione: la storia dell’indagine su Lidia Macchi, narrata nell’ordinanza di custodia cautelare, è semplicemente incredibile, degna di un romanzo con diversi colpi di scena

lidia macchi

Sesso, eroina e religione: la storia dell’indagine su Lidia Macchi, narrata nell’ordinanza di custodia cautelare, è semplicemente incredibile, degna di un romanzo con diversi colpi di scena. Inaspettato, tragico e terribile.

LA TESTIMONE 

Tutto inizia quando, nel 2014, una donna si presenta in questura, affermando di aver visto sui giornali la lettera anonima che fu recapitata a casa dei genitori di Lidia, il 10 gennaio del 1987, il giorno del funerale. Da qualche tempo, il caso è tornato in tv, dopo che la procura generale di Milano ha preso in carico le indagini. Lo scritto si chiama “In morte di un’amica” e sembra un racconto allucinato di quella notte. Da anni si sospetta che sia stato scritto dall’assassino, in preda a un visionario senso di colpa. La donna, P.B., nota la calligrafia dello scritto, pubblicato in quei giorni dal quotidiano La Prealpina, e ha un sussulto: le sembra di riconoscere, in quelle immagini, la stessa scrittura di un suo vecchio amico. Chiama la polizia e consegna, in questura, le cartoline che, a quel tempo, Stefano Binda – questo il nome dell’amico –  le scriveva. P.B. era anche vicina a Lidia: frequentava gli ambienti di Comunione liberazione, proprio come Stefano.

LA LETTERA ANONIMA – LEGGI QUI

La squadra mobile si mette al lavoro. Sottopone le cartoline a una perizia, da cui emerge “la stessa matrice redattiva” della lettera. Stefano Binda, per i magistrati, è l’autore dello scritto (anche se il dna, va detto, non lo identifica). Gli inquirenti, convinti di essere sulla pista giusta, vanno a rivedere le vecchie dichiarazioni, rese da amici e conoscenti, in quel lontano 1987. Binda affermò, all’epoca, di avere con Lidia solo una conoscenza superficiale: che non l’aveva mai chiamata a casa e che non la vedeva da 3 anni. E’ una bugia. La testimone smentisce questa circostanza e anzi, afferma che i due si conoscevano benissimo. Perchè, allora, negò di essere molto vicino alla ragazza? Nel 1987, confidando nel fatto che aveva cambiato liceo e non era più uno studente del Cairoli di Varese, avrebbe semplicemente cercato di non farsi identificare, e di restare sullo sfondo, per non passare come amico intimo della Macchi. P.B. riferisce un’altra cosa: la poesia di Cesare Pavese, ritrovata nella borsetta di Lidia quella notte, era un cavallo di battaglia di Binda. Inoltre all’epoca lei, lui e un altro amico, oggi sacerdote, erano inseparabili. Proprio quel sacerdote, a ben guardare,  avrebbe all’epoca fornito un alibi a Stefano, mentendo su dove fosse il ragazzo, all’epoca 19enne, la sera del 5 gennaio.

IL VELO STRAPPATO

Se l’assassino ha scritto la lettera e la lettera è di Binda, è lui il colpevole: il “velo strappato”, citato nello scritto, sarebbe la verginità di Lidia violata quella notte, mentre le stelle descritte da quei versi, erano effettivamente presenti in cielo, il 5 gennaio, in una serata limpida e gelida. La ricostruzione del fatto, è in quel foglietto.

LE AGENDE

Binda viene convocato a ottobre 2015. Afferma che il 5 gennaio 1987 era in montagna,  a una vacanza a Pragelato, con i ragazzi del movimento di Don Giussani. Vengono convocati i giovani dell’epoca. Alcuni non lo ricordano, altri dicono che Binda non c’era mentre uno di loro afferma che sì, Binda era presente (circostanza che per l’accusa potrebbe essere un ricordo sbagliato). In una successiva perquisizione nella sua abitazione, a Brebbia, la polizia trova 4 agende del 1987. Alcune pagine sono state strappate in corrispondenza dei giorni del delitto, vi sono ritagli sull’omicidio e un foglietto dal titolo “Stefano è un barbaro assassino”, scritto dal Binda medesimo. Un quaderno rinvenuto in casa, secondo un perito, avrebbe “identità merceologica” con il foglio della lettera anonima giunta a casa Macchi il 10 gennaio 1987.

stefano binda

Foto Newpress

FASCINO ED EROINA

Dalle parole dei testimoni, ma anche di don Fabio Baroncini (storico sacerdote di Cielle), emerge che all’epoca Binda era una persona di un certo fascino tra i ragazzi, un leader nato, un carattere complesso, ma di carisma eccezionale. Ma c’è anche un lato oscuro. Secondo i magistrati Binda, dal 1984,  aveva iniziato a fare uso di eroina. E’ per questo che conosce la località Sass Pinì, luogo di spaccio nei pressi dell’ospedale di Cittiglio, dove porterà Lidia. Inoltre, la ragazza aveva in borsa una lista di libri ordinati in biblioteca in cui si accenna alla tossicodipendenza.

LA NOTTE  DEL DELITTO

L’ordinanza ipotizza che Lidia volesse aiutare Stefano e che ne fosse amica. Si recò la sera del 5 gennaio a trovare un’amica all’ospedale e incontrò, forse non casualmente, nel piazzale di Cittiglio, Stefano Binda, che la attendeva sulla sua 131 bianca. Una donna testimoniò di aver visto una Panda verde e una vettura bianca, affiancate  sul piazzale, quella sera. L’ipotesi è che successivamente, i due, con la Panda, si siano addentrati al Sass Pinì. Stefano, in preda al furore, pretese un rapporto sessuale. Il rapporto ci fu, il primo per Lidia, che era vergine.  Forse la povera ragazza scelse il male minore,  sotto minaccia; forse non reagì. Ma dopo litigarono. Lui, sconvolto per quello che aveva fatto la colpì con 29 coltellate e la uccise. Ne attese la morte.  La rivestì con i collant al contrario, e i pantaloni dentro gli stivali (cosa che Lidia che non faceva mai). Il corpo fu trovato due giorni dopo, sotto un cartone accanto alla Panda. L’assassino sparì per 29 anni.

L’ordinanza sul movente è chiara: “Ha paura che Lidia confessi quanto è successo alla sua famiglia, alle guide spirituali, agli amici. Allora perde la testa, estrae un coltello e colpisce Lidia al torace e al collo”. L’accusa accenna anche ai motivi religiosi, al fatto che Stefano potrebbe aver identificato in Lidia una sorta di “peccato originale” del suo errore.

Il crowdfunding continua!

Aiutaci ad attrezzare lo spazio centrale di Materia, la nuova sede di VareseNews.

Scopri come aderire e far parte di questo sogno

Roberto Rotondo
roberto.rotondo@varesenews.it
Pubblicato il 15 Gennaio 2016
Leggi i commenti

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Vuoi leggere VareseNews senza pubblicità?
Diventa un nostro sostenitore!



Sostienici!


Oppure disabilita l'Adblock per continuare a leggere le nostre notizie.