Per Candy, BTicino e Lindt la logistica è questione di collaborazione
Un workshop alla Liuc dedicato all'outsourcing logistico in house, ovvero quando il fornitore va a lavorare tra le mura del committente
Lindt, Bticino e Candy sono tre grandi gruppi industriali che hanno deciso di aprire le porte dei propri magazzini ai fornitori di logistica. In termini tecnici si chiama outsourcing in house, cioè una terziarizzazione in casa. Anziché andare dal fornitore è il fornitore che va in azienda.
Ha funzionato in tutti e tre i casi e la ragione di tale successo l’hanno spiegata i loro manager: tutto dipende dalla scelta dell’operatore logistico. Una risposta che potrebbe sembrare quasi scontata, ma che tale non è, almeno a giudicare da quanto è emerso dal workshop organizzato dall’Università Liuc, con il contributo di Columbus logistics, sui rischi e l’opportunità di questa scelta. Il primo di una serie di appuntamenti tematici che si terranno nell’ateneo di Castellanza da marzo a giugno.
I vantaggi elencati da chi l’ha fatta, sono sicuramente superiori agli svantaggi. Costi solitamente fissi si trasformano in variabili, maggiore flessibilità, concentrazione nelle aree in cui si determina il proprio vantaggio competitivo, miglior controllo dei flussi logistici, tutela delle informazioni strategiche che così rimangono in azienda, tempi di risposta azzerati. Tutto questo insieme di ragioni potrebbe essere racchiuso in uno slogan citato da Giorgio Selvatici, manager di BTicino: «Outsourcing è partnership», cioè una filosofia della collaborazione quale necessaria evoluzione della normale contrapposizione/diffidenza tra imprese.
La giornata non è stata però un’apologia dell’outsourcing logistico in house, perché i rischi, come ha ricordato l’avvocato Gianfranco Curci, appartengono ad alcune forme patologiche che si manifestano nell’appalto. «L’azienda appaltatrice – ha spiegato Curci – deve fornire il Durc (documento unico di regolarità contributiva, ndr). Magari ne ha uno per l’unico assunto e tutti gli altri lavoratori sono in nero. in questi casi il committente è obbligato in solido con l’appaltatore per i trattamenti retribuiti, il tfr,i contributi previdenziali e i premi assicurativi».
Per quanto riguarda la gestione dei lavoratori, nella logistica la cooperativa è la natura giuridica più utilizzata e, a leggere gli articoli di cronaca, non sempre con risultati edificanti. Con il Jobs act, la nuova riforma del lavoro, il sistema nel suo complesso potrebbe beneficiarne, i lavoratori con una maggiore stabilità e le aziende con una maggiore flessibilità in uscita.
«Si usa la cooperativa – ha spiegato Stefano Bianconi, direttore generale di Columbus Logistics – perché in un lavoro fluttuante garantisce maggiore flessibilità. Con la riforma sono state poste le basi per andare in quella direzione, ma per il momento è difficile valutare quanto sia la flessibilità introdotta».
La crescita tumultuosa della logistica, che in Italia vale 76 miliardi di euro, ha bisogno di personale addestrato e competente pronto per essere impiegato, aspetto che fa preferire le cooperative alle agenzie interinali che invece il personale devono formarlo. «La flessibilità richiesta dai committenti, che è una questione di organizzazione, non coincide con il concetto giuslavoristico – conclude l’avvocato Curci – e la condizione di lavoratore non va confusa con quella di socio della cooperativa. Il vero problema è che spesso questi piani vengono fatti coincidere con una gestione del lavoratore che risponde più a logiche personali, piuttosto che rispondere alle norme e ai contratti vigenti».
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