Invalido si uccise col fuoco. Il dna svela chi era
Si chiamava Hamid Arati, abitava in via Sant'Abbondanzio ed era disperato perché non poteva più lavorare. Si è dato fuoco a Como il 19 febbraio
Invalido e senza poter più lavorare. Hamid si è sentito così solo e inutile che ha deciso, lo scorso febbraio, di togliersi la vita in un modo atroce. Una sera d’inverno, portandosi una bottiglia di benzina, è andato sul lungolago di Como, nei pressi del Tempio Voltiano. L’uomo ha girato intorno al suo collo un cappio. L’altra estremità della corda l’ha legata alla ringhiera. Si è versato della benzina addosso e si è dato fuoco. Nello stesso momento, è saltato dal parapetto e si è impiccato. (FOTO DAL SITO QUICOMO.IT)
I carabinieri, quella notte, non hanno trovato alcun documento: era tutto bruciato, anche il portafogli. E’ accaduto 19 febbraio e per dare un nome e una pietosa sepoltura a quell’uomo, le forze dell’ordine hanno diramato una informativa selezionando alcuni nomi dalla banca dati delle persone scomparse.
Una prima traccia – che si rivelerà quella buona – è arrivata alcuni giorni dopo da Cislago. Una donna ha segnalato ai carabinieri la scomparsa di un amico, il 47enne Hamid Arati, un uomo che viveva da solo nel paese, in via sant’Abbondanzio, e che da tempo aveva problemi di depressione legati alla sua condizione di salute.
Il dramma umano di Hamid era noto alla donna. Per i militari del comando compagnia di Saronno è stato un campanello di allarme che ha fatto subito scattare le indagini. In casa, a Cislago, i militari trovarono in quei giorni un biglietto che poteva far pensare a un allontanamento volontario dall’Italia ma anche a un suicidio. Ma c’era un secondo elemento che portava ad Hamid. I carabinieri di Como, quella notte davanti al Tempio Voltiano, trovarono uno zainetto in cui era contenuto un biglietto di addio molto simile a quello dell’appartamento.
Nella missiva l’uomo chiedeva perdono soprattutto al proprietario di casa e ad altre persone che lo avevano aiutato e alle quali temeva di poter creare problemi. L’uomo scriveva che non voleva più essere di peso, perché la malattia gli impediva di lavorare. Affermava inoltre di avere una famiglia in Marocco e che in Italia aveva sempre lavorato per mantenersi.
La conferma definitiva dell’identità dell’uomo che si è dato fuoco a Como è arrivata dall’esame del dna. I Carabinieri avevano infarti prelevato nell’abitazione di Cislago delle lamette da barba e uno spazzolino da denti, inviati al Ris di Parma, insieme un campione di sangue della vittima di Como per una comparazione del Dna. Il test ha dato risultato positivo. Ora i carabinieri cercano i familiari in Marocco. Sono stati contattati il consolato e l’ambasciata.
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