Operaio morto per l’amianto, ex manager a processo
Processo per un operaio che contrasse un tumore, lavorò a contatto con tubi non protetti dal 1974 al 1984

Un operaio di una ditta di Lonate Ceppino morì a causa dell’amianto, ora la famiglia chiede la condanna degli ex amministratori della ditta. Due sono nel frattempo deceduti, a processo ne rimane solo uno, di anni 84, accusato di omicidio colposo. L’esposizione dell’operai all’amianto avvenne tra il 1974 e il 1984, e il mesotelioma gli fu diagnosticato nel 2009. L’uomo si chiamava Antonio Casula e quando morì nel 2011 aveva solo 55 anni. Lasciò una moglie e una figlia minorenne.
La Procura si è occupata del caso, segnalato nel registro sanitario dei mesoteliomi. La malattia diagnosticata è appunto il mesotelioma pleurico epitelideo, praticamente incurabile. Secondo l’accusa l’uomo, di professione tubista, nella ditta di Lonate Ceppino in quegli anni (1974-1984) fu in constante contatto con tubature coibentate con amianto. La ditta avrebbe omesso all’epoca di adottare le procedure per ridurre o affrontare i rischi lavorativi derivanti della esposizione delle poveri e non fu informato il personale. Il pm Antonia Rombolà ha chiesto una condanna a 1 anno 4 mesi di carcere. I difensori Claudia Manfrè e Massimo Giancola hanno invece chiesto l’assoluzione dell’ex dirigente.
All’epoca forse non tutti sapevano dei rischi dell’amianto, tuttavia secondo le recenti pronunce della cassazione, anche a seguito delle inchieste torinesi del pm Guariniello, non importa che il rischio cancerogeno fosse conosciuto, poiché le misure di prevenzione da adottare per evitare una malattia come l’asbestosi, all’epoca nota, erano identiche e non sarebbero comunque state seguite. Il reato era inizialmente stato classificato in lesioni gravissime ma la procura lo ha poi riclassificato in omicidio colposo. In passato altri 4 dipendenti della stessa ditta erano morti per il mesotelioma, ma le indagini erano state archiviate.
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