“Sprangato da delinquenti, sono vivo per miracolo”
Si è parlato di aggressione omofoba, di violenza cieca: l'unica colpa di D. è stata quella di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Parla l'uomo aggredito venerdì 26 settembre
Un’aggressione ad un uomo in pieno centro Varese, di venerdì sera, alla fine di una serata al bar. E’ stata veramente una orribile esperienza quella che D. ha vissuto il 26 settembre scorso, per quella che è stata valutata anche come aggressione omofoba ai suoi danni. Ma l’aggressione era tale solo nelle intenzioni degli aggressori: visto che D., varesino, ha una compagna da molti anni, e lavora come operaio in una delle aziende della zona.
La sua unica colpa, stando alle prime ricostruzioni, era invece di essere lì al momento sbagliato: gli aggressori hanno preso a casaccio un uomo che si spostava da solo per strada. Un caso di cronaca che ha colpito emotivamente i varesini.
Come è andata, lo abbiamo chiesto al diretto interessato: dopo qualche giorno di riposo a causa delle botte (presenta segni di sprangate sulla gamba, sulla schiena e nei fianchi) ci ha potuto raccontare la sua storia.
«Era venerdì sera, tornavo dal festeggiare un nostro collega che andava in pensione. In realtà, non pensavo di riuscire ad aggregarmi ai colleghi, che avevano cenato con lui al ristorante: avevo problemi di lavoro – spiega -. Ma poi ho deciso di andarlo almeno a salutare, in coda alla serata. Non dovevo nemmeno essere li… Ma alla fine ho detto “Dai, passo magari solo per un saluto” e cosi ho fatto. Ho recuperato i colleghi in un ristorante, poi siamo andati a bere qualcosa insieme in uno dei locali del centro storico».
Quando la serata finisce, intorno a mezzanotte, i colleghi raggiungono ognuno la propria auto parcheggiata: «Ci siamo divisi, verso le nostre auto. La mia era in via Staurenghi. Da lontano sentivo dei canti sguaiati, come dei cori da stadio: ho pensato solo “saranno ubriachi o fatti, meglio evitarli”. Purtroppo, più mi avvicinavo all’auto più comprendevo che la confusione arrivava da lì».
L’impressone iniziale è che siano semplicemente delle persone alterate: «Il metodo migliore mi sembrava cercare di evitarli; forse erano solo molesti, bastava non dare retta. Ad un certo punto, però, li ho visti aprire il bagagliaio di una macchina; hanno tirato fuori delle mazze e hanno cominciato a colpirmi».
Con una violenza che spiazza D.: «Mi han preso sul fianco, sulle gambe, su un orecchio. Non smettevano mai. Mi hanno preso stretto per il collo. Lì ho cominciato a reagire: credo di avere morso anche chi mi prendeva il collo per il braccio».
Davvero, le hanno detto parole omofobe? «Io continuavo a sentire gay, gay, ma non capivo nemmeno in quale contesto mettessero questa parola. Capivo che era come un insulto, ma non capivo se la dicessero per un motivo»
Nella confusione però, la cosa che si fa sentire di più è il dolore: «Ho cominciato a perdere i sensi: una prima volta quasi subito dopo che mi han preso. Poi ricordo solo cose confuse: in particolare una ragazza che piangeva disperatamente. Lì ho cominciato a intuire che qualcuno si stava preoccupando per me. E sono svenuto di nuovo. Il resto, me l’hanno raccontato».
Ora: «Ovviamente mi sento meno sicuro, in una città dove nel pieno centro si può essere aggrediti senza motivo. Non posso che ringraziare le persone che hanno avvertito le forze dell’ordine, perchè sono stati provvidenziali e coraggiosi, e spero che vengano assicurati alla giustizia dei personaggi del genere, che avevano l’aria di voler passare il venerdi sera completamente sballati e seminando terrore».
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A casa mia, uno che mentre viene pestato a sangue sente dire “gay, gay” è stato vittima di un attacco, anche, omofobo (gay o etero che sia).
Senza dubbio: quello che volevamo intendere era semplicemente che la violenza non era nemmeno indirizzata seriamente verso qualcosa. Per non causare fraintendimenti, ho ritoccato le frasi che potevano essere mal comprese. Spero che ora sia più comprensibile