Poche galassie nane nell’universo: uno studio spiega il perchè
È firmato anche dall'Università dell'Insubria lo studio internazionale che spiega l'azione di un particolare radiazione che blocca lo sviluppo delle galassie di piccola massa
Uno studio internazionale firmato anche dall’Università degli Studi dell’Insubria spiega perché esistono poche galassie nane nell’Universo. Un gruppo di astronomi ha, infatti, sviluppato un modo per rilevare la radiazione di fondo ultravioletta (UV) dell’Universo, un tipo di radiazione emessa anche dal nostro Sole, che si trova in tutto l’Universo e priva le galassie più piccole del gas che forma le stelle, bloccando di fatto la loro crescita.
Lo studio può, pertanto, contribuire a spiegare il motivo per cui si osserva un numero di galassie di piccola massa (le cosiddette galassie nane) molto minore di quanto predetto dalla teoria.
La radiazione UV è invisibile, ma quando interagisce con il gas, essa diventa visibile sotto forma di luce rossa. Un gruppo internazionale di ricercatori dell’Università inglese di Durham, dell’Università dell’Insubria sede di Como, dell’ETH di Zurigo, dell’Università della California a Santa Cruz, e dell’MPE di Garching in Germania, ha trovato un modo per misurarla, utilizzando avanzate osservazioni da uno dei più grandi telescopi esistenti, il Very Large Telescope di ESO.
I ricercatori mettono in luce come il loro metodo possa essere utilizzato per misurare l’evoluzione della radiazione di fondo UV nel corso del tempo cosmico, e per mappare come essa blocchi la formazione delle galassie di piccola massa.
Questo studio potrà anche contribuire alla produzione di simulazioni al computer più accurate per descrivere l’evoluzione dell’Universo.
I risultati sono pubblicati nella rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society(http://doi.org/10.1093/mnras/stx398).
Le simulazioni mostrano che dovrebbero esserci più galassie nane nell’Universo, ma la radiazione UV in pratica ha impedito il loro sviluppo, privandole del gas di cui hanno bisogno per formare le stelle. Si pensa che questo sia il motivo per cui ad alcune galassie più grandi, come la nostra Via Lattea, non si accompagnano molte galassie più piccole.
Le galassie più grandi come la Via Lattea sono state in grado di resistere a questa esplosione cosmica, grazie alle dense nubi di gas che le circondano.
Il primo autore dello studio, il Dott. Michele Fumagalli dell’Institute for Computational Cosmology e del Centre for Extragalactic Astronomy dell’Università di Durham, ha affermato: «Le stelle massive e i buchi neri supermassivi producono enormi quantità di radiazione ultravioletta che, combinate, danno origine alla radiazione di fondo ultravioletta. Questa radiazione UV interagisce con il gas nell’Universo, causando l’emissione di una luce rossa, in un modo simile a quello con cui il gas di una lampadina fluorescente viene portato a produrre una luce visibile. La nostra ricerca indica che adesso abbiamo la capacità di misurare e mappare questa radiazione UV, il che ci aiuterà a perfezionare ulteriormente i modelli di formazione delle galassie».
Il Professor Francesco Haardt, cosmologo presso il Dipartimento di Scienza e Alta Tecnologia dell’Università dell’Insubria e secondo firmatario del lavoro, ha aggiunto: «Prima del nostro lavoro esistevano solo misure indirette, spesso contrastanti fra loro, circa il livello di questa radiazione nell’Universo attuale. Il nostro risultato ora pone dei limiti molto più stringenti ai modelli teorici di formazione delle galassie».
Uno dei coautori dello studio, il Professor Simon Morris del Centre for Extragalactic Astronomy dell’Università di Durham, ha ulteriormente affermato: «In definitiva, questo può aiutarci a saperne di più sull’evoluzione dell’Universo e sul perché esistono così poche galassie nane».
I ricercatori hanno utilizzato il Multi Unit Spectroscopic Explorer (MUSE), uno strumento del Very-Large Telescope dello European Southern Observatory in Cile, e lo hanno puntato verso la galassia UGC 7321, che si trova a una distanza di 30 milioni di anni luce dalla Terra.
MUSE fornisce uno spettro, o banda di colori, per ogni pixel dell’immagine, consentendo ai ricercatori di mappare la luce rossa prodotta dalla radiazione UV che illumina il gas in quella galassia. La ricerca può inoltre aiutare gli scienziati a prevedere la temperatura del gas cosmico con maggiore accuratezza.
Un altro coautore dello studio, il Professor Tom Theuns dell’Institute for Computational Cosmology dell’Università di Durham, ha affermato: «La radiazione ultravioletta scalda il gas cosmico a temperature più alte di quelle della superficie del Sole. Un gas così caldo non si raffredda per formare le stelle nelle galassie nane. Ciò spiega perché esistono così poche galassie nane nell’Universo e anche perché la nostra Via Lattea ha così poche galassie satellite».
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