Giovanni Mongiano e l’impulso irrefrenabile di recitare nel teatro vuoto
L'attore Giovanni Mongiano si racconta e spiega come ha deciso di recitare al Teatro del Popolo nonostante non ci fosse in sala nemmeno uno spettatore: "E' stato un impulso irrefrenabile"
«No, non mi era mai capitato».
In bilico tra amarezza, ironia e un po’ di stupore per l’eco che la sua performance a teatro vuoto ha suscitato, Giovanni Mongiano si racconta con la gentilezza e il garbo di un “vecchio” signore del palcoscenico.
«Mi è capitato una volta, quando ero molto giovane, di arrivare in uno spazio culturale di un quartiere torinese e di trovarci solo il bibliotecario che però, quando gli ho detto che me ne sarei andato, mi ha risposto “no, io sono qui e lo spettacolo lo voglio vedere”. Però non è la stessa cosa; avere uno spettatore, cento o mille non deve fare la differenza per l’attore, come dico sempre ai miei ragazzi. Anche con uno spettatore solo l’attore ci deve mettere la stessa carica, la stessa emozione e l’identica passione che riserverebbe ad una sala stracolma. E’ un questione di rispetto, per il pubblico e per il teatro. Zero spettatori è un’altra cosa, è un’esperienza particolare».
Giovanni Mongiano calca le scene da 45 anni. Ne aveva venti quando entrò nella scuola del Teatro Stabile di Torino, e da allora non ha mai smesso. Ha lavorato per il Teatro Stabile e il Teatro Regio di Torino, al Festival di Spoleto, con la Compagnia degli Associati, con la cooperativa Teatro Proposta, in originali televisivi prodotti dalla Rai e con l’Associazione Teatro Piemontese.
Una lunga carriera, che lo ha visto al fianco di grandi nomi come Giancarlo Sbragia, o Benno Besson. Una carriera dove si è messo in gioco anche nel ruolo di regista, di autore teatrale e televisivo e, da qualche anno, anche come direttore di teatro. Ha inaugurato il Teatro Angelini di Crescentino nel 2004 e ne è stato direttore fino al 2009, e dal gennaio 2013 è direttore artistico della compagnia TeatroLieve che gestisce il Teatro Viotti di Fontanetto Po.
«Non voglio fare polemiche con il Teatro del Popolo di Gallarate, non so cosa è successo per non avere in sala nemmeno uno spettatore. So solo che spesso, se non hai rischio d’impresa, se per te avere dieci o 100 spettatori è lo stesso, è chiaro che non ti dai da fare per pubblicizzare gli spettacoli, e se non ti impegni non succede nulla. Lo so, perché dirigo il Teatro Viotti, un piccolo bellissimo teatro Liberty che la Regione Piemonte ha voluto venisse restaurato e usato. So cosa vuol dire impegnarsi per far quadrare i conti e per avere gente a teatro. Da due anni e mezzo facciamo sempre il tutto esaurito e siamo, a livello nazionale, in testa alle classifiche per le migliori performance di spettatori per replica».
Una carriera di successo, e uno spettacolo, quello che è andato in scena per il “non pubblico” del Teatro del Popolo, che ha riscosso davvero tanto gradimento in questi quattro anni, con oltre 70 repliche: «Uno spettacolo anche divertente, leggero, dove il pubblico è emotivamente coinvolto nelle vicende del protagonista».
Uno spettacolo che parla d’amore per il teatro, e forse è qui la chiave di lettura di una scelta inusuale ed emozionante come quella di recitare davanti ad una platea compleamente deserta: «Alla fine non so perché l’ho fatto. E’ stato un impulso irresistibile. Quando la mia assistente mi ha detto che la sala era totalmente deserta e mi ha chiesto se potevamo andare a casa, in un secondo ho deciso che sarei andato in scena. Ero lì per fare quello spettacolo, dovevo farlo. Non c’è stato calcolo, riflessione, solo il desiderio di fare ciò per cui ero venuto a Gallarate, di dare voce al mio teatro. Di recitare, anche se con le lacrime agli occhi, questo testo che parla della vita di palcoscenico, dura, romantica, almeno agli occhi degli estranei, piena di grotteschi imprevisti, di speranze sempre deluse e umiliazioni cocenti, ma da cui è impossibile separarsi».
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