Giorgetti: “La passione politica nasce da un atto di presunzione”

La svolta della Lega al Sud, le elezioni, alcune relazioni e gli errori delle fondazioni. Tanti temi nell'intervista con Giancarlo Giorgetti. "Vincerà il centro destra e troveremo comunque la maggioranza"

Generiche

L’odore dei manifesti freschi di stampa. Ovunque volantini, locandine, santini. È la classica sede di partito nella fase della campagna elettorale. Da quando la Lega provinciale ha lasciato Varese, il suo quartier generale è stato trasferito a Cazzago Brabbia, il paese di Giancarlo Giorgetti.

Il leader leghista è di passaggio nel Varesotto dopo una decina di giorni in giro per le regioni del Sud a fare campagna elettorale.

Inizia da qui la lunga intervista. “Ieri ero in Sardegna, dove abbiamo fatto un accordo con il Partito sardo d’azione. Avremo delle belle sorprese in queste aree del paese che oggi vivono una condizione drammatica. Se ne parla poco, ma stiamo assistendo a una progressiva desertificazione di molti borghi con la maggioranza dei giovani che lasciano il Sud in assenza di qualsiasi prospettiva. Mi convinco sempre più che l’autonomia e il federalismo differenziato serva al Nord, ma farà bene anche al resto d’Italia”.

La Lega quindi per riscoprire il Centro e il Sud d’Italia ha perso il Nord… e non solo nel logo?

«Non abbiamo perso il Nord. C’è stata una evoluzione verso un partito delle autonomie, una sorta di partito federalista. Ci aveva già provato Bossi nel 1993 con Lega Italiana federale. Ebbe uno scarso successo. Ora i tempi sono cambiati. Dovremo fare attenzione alla classe dirigente perché ci sono abitudini diverse nelle regioni dove non siamo mai stati presenti. Al Sud avremo belle soddisfazioni perché la maggioranza delle persone sono sfiduciate e deluse e in tanti voteranno il Movimento cinque stelle, ma diverse sceglieranno Salvini».

Una Lega sempre meno varesina?

«Sì, Varese ha perso la centralità che abbiamo conosciuto finora».

Giancarlo Giorgetti è sempre stato schivo. In questi anni ha lavorato ricoprendo ruoli di grande potere nel partito e anche nelle istituzioni.

Lei non rilascia spesso interviste. Come mai?

«Non mi piace apparire e non mi metto in prima fila. Sono convinto che quando la politica diventa schiava della comunicazione non si vada in profondità nelle cose. Questo vale anche per il giornalismo. Oggi si preferisce un tweet a ragionamenti e riflessioni, e questo penalizza l’approfondimento. Tutto diventa uno slogan. Poi c’è una ragione più personale che arriva dall’esempio di mio padre. Lui, come il nonno e tante generazioni indietro nel tempo, faceva il pescatore. Un lavoro un po’ solitario in cui passi tante ore a pensare e poco a parlare».

Da dove nasce la passione per la politica?

«La pesca è stata uccisa dal progresso e i pescatori, che sono saggi, hanno capito che per i loro figli andavano cercate altre opportunità. Io sono un commercialista, ho fatto il sindaco del mio paese e poi dal 1996 sono parlamentare. La politica è sacrificio. È come una malattia, ma alla base c’è un atto di presunzione che ti fa credere che le cose che pensi e che fai tu facciano bene anche agli altri».

È vero che lei è l’esponente della Lega che tiene i contatti con i poteri forti?

«Sono tanti anni che faccio politica e le persone le conosco tutte. Volendo andare al Governo, con i poteri forti bisogna avere a che fare, ma non in modo supino. Abbiamo bisogno di una politica che sappia le cose e che risponda al potere popolare e non a quello finanziario o tecnocratico. In questi anni la politica ha abdicato al suo compito e va troppo al rimorchio di decisioni prese altrove. Questo sta condizionando anche le persone e alimenta quel sentimento di antipolitica che cresce da tempo. Il vantaggio della Lega è che non prende ordini da nessuno. Neanche dai russi».

Su questo Giorgetti sorride e fa battute perché l’ultima cosa che vorrebbe sentire è proprio questo legame con poteri nascosti e alimentati da Mosca.

Che governo vorrebbero i poteri forti?

«Fanno il tifo per il governissimo di Renzi e Berlusconi. A loro va benissimo Gentiloni. Uno che rassicura la Merkel e che non decide niente».

Se glielo chiedessero lei farebbe il presidente del Consiglio?

«Ma va! Noi abbiamo un solo candidato premier ed è Salvini. Il 4 marzo vincerà il centro destra perché i sondaggi che conosciamo non sono veritieri e non intercettano la pancia del Paese».

E se non aveste la maggioranza in Parlamento?

«Ce l’avremo e comunque non è un problema. Lo abbiamo già visto in diverse situazioni come all’inizio dell’ultima legislatura: un gruppetto di “responsabili” si troverebbero. Pensiamo a Casini, Paolo Alli ed altri. Ce ne saranno anche nel M5S. Non voglio dire che Renzi e Berlusconi abbiano fatto le liste pensando alla grande coalizione, però… Comunque sgombriamo subito il campo da equivoci: la Lega non darà il proprio supporto a nessuno e anche l’ipotesi di un ruolo di Maroni è del tutto fantasioso».

A proposito di Maroni, l’ha sorpresa la sua decisione di non ricandidarsi?

«Un anno fa affrontammo questo tema con lui e ci confermò che avrebbe continuato. Lo ha anche dichiarato pubblicamente, poi la sua repentina decisione ci ha un po’ spiazzato».

Che ruolo avrà in futuro Maroni?

«Sarà per il centro destra quello che è Prodi per il centro sinistra. Ovvero un grande vecchio, un po’ saggio, che da una posizione di esperienza potrà dare qualche bacchettata».

E Bossi?

«Bossi è stato in difficoltà e alcune persone ne hanno approfittato. Lui è una persona buona e paga per questo. Noi abbiamo fatto bene a ricandidarlo anche se ci sono arrivate tante critiche. La sua statura politica deve trovare un importante riconoscimento e credo che il percorso per l’autonomia vada intestato a lui».

Lei è ancora amico di Gianluigi Paragone?

Giorgetti sorride prima di rispondere e cerca le parole con calma… «Lui può fare quello che vuole, però ci vorrebbe più rispetto umano soprattutto con una persona come Bossi».

Si aspettava la sua candidatura nel M5S dopo esser stato direttore della Padania?

«Ne avevamo sentore, anche perché da tempo aveva preso posizioni populiste. Ha avuto la possibilità di venire anche con noi e poi ha scelto il M5S. Lui si considera un pontiere e continua ad avere rapporti con Salvini». Anche su questo Giorgetti sorride e lascia intendere che i responsabili non sono solo quelli che potrebbero permettere il governissimo.

Come vanno i problemi finanziari della Lega?

«Abbiamo problemi seri perché non abbiamo finanziamento pubblico, e nemmeno aiuti da parte dei poteri. La Procura ci ha bloccato tutto con un provvedimento che nemmeno in Turchia… In ogni caso andiamo avanti grazie ai militanti, ai ristorni dei parlamentari, dei consiglieri regionali e con le azioni che facciamo a livello di base».

Come si è conclusa la vicenda della vostra banca Crediteuronord?

«Su questo punto va fatta chiarezza perché non è vero che la banca sia fallita, e nemmeno che chi ha prestato soldi li abbia persi. Ai correntisti è stato restituito tutto e i soci sono stati liquidati con l’attivo che abbiamo realizzato vendendo l’attività».

Ha saputo delle vicende dei prestiti delle due principali fondazioni di Varese?

«Ho letto quello che avete scritto e condivido totalmente. La situazione andava azzerata completamente e non capisco perché le istituzioni non sono intervenute. Oltretutto sono coinvolte altre realtà. Sicuramente la Fondazione Minoprio dove opera Luca Galli. Oltre che da politico parlo da commercialista: quei prestiti non andavano fatti. Non rientra nelle attività delle fondazioni e inoltre non davano alcuna garanzia».

I vertici però venivano decisi dai partiti di centro destra?

«La governance va rivista perché occorre un maggior controllo sulle fondazioni».

Conosce Carlo Vimercati, il presidente di Mata e della Fondazione del bergamasco?

«So che era stato scelto ai vertici della fondazione da un accordo Lega e Comunione e liberazione, ma poi non ne ho saputo più niente».

Lei durante le elezioni comunali a Varese aveva raggiunto un accordo con Airoldi di Rete55 che è una delle realtà implicate nella storia dei prestiti?

«È vero, ma era solo un accordo politico con lui e Malerba di Lega civica per portare voti e far vincere il nostro candidato. Orrigoni non accettò, e loro si allearono con Galimberti e il centro sinistra. Da allora di queste cose io non me ne sono più occupato. Sono convinto che per l’attuale sindaco i problemi cominceranno presto perché dovrà rispondere agli accordi presi a partire da chi governerà il Molina».

In passato lei si è impegnato molto per il Varese calcio. Come la vede ora?

«Le squadre di calcio o hanno un retroterra imprenditoriale forte, o fanno una brutta fine. Varese deve far giocare i giovani e ripartire da lì senza grilli per la testa. Adesso la situazione si è complicata troppo e nessuno è più disposto a investire. Si sono fatti tutti i tentativi possibili e non avrebbe alcun senso far fallire la società, perché è una cosa che già è stata fatta in un recente passato».

Giusto il tempo per l’intervista e il leader leghista riparte. Una giornata in giro tra la sua gente in provincia e da lunedì tornerà al Sud. Sulla porta pende un volantino storico che raffigura un vecchio capo indiano con lo slogan: “Loro non hanno potuto mettere regole all’immigrazione. Ora vivono nelle riserve! Pensaci. Vota Lega! Ora o mai più”. Come a dire: questo resta il nostro tema centrale.

«Dobbiamo preoccuparci del clima alimentato in questi ultimi giorni. – Prosegue Giorgetti mentre va – Le botte nelle piazze, le aggressioni, sono un po’ sospette e sembrano far parte di un disegno che ancora una volta ripete lo schema del voto responsabile contro gli opposti estremismi. Ci stiamo domandando da dove arrivino tutti questi soldi a Casa Pound».

La relazione con la destra xenofoba e razzista è un tema sempre molto caldo per la Lega e nel tempo le posizione sono cambiate più volte da quando Salvini veniva indicato come il capo di quell’area fino a quando lo stesso leader sembra averli scaricati.

Marco Giovannelli
marco@varesenews.it

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Pubblicato il 24 Febbraio 2018
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