“La sfida è tosta: sarà la cultura a fare la differenza”
Il Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda al teatro Santuccio ha parlato di sviluppo tecnologico, di quarta rivoluzione industriale e di un futuro che va governato in tempi stretti
“Ciò che farà la differenza sarà la cultura”. Un applauso intenso e caloroso ha salutato la ricetta del ministro Carlo Calenda per affrontare la complessità delle sfide che attenda la nostra società.
Ospite del sindaco di Varese Davide Galimberti nell’incontro organizzato al teatro Santuccio, il Ministro dello Sviluppo economico ha incontrato il territorio: istituzioni, rappresentanti del tessuto sociale, economico, della cultura scuola e università.
Al centro del dibattito il piano dell’industria 4.0 ma anche il futuro per molti tratti inquietante.
QUARTA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
La tecnologia e la globalizzazione sono i due temi che stanno monopolizzando il dibattito sullo sviluppo: siamo ormai alla vigilia della quarta rivoluzione industriale.
Un contesto che mette a dura prova le capacità del nostro sistema paese: «Le novità e i cambiamenti sono insiti nella storia dell’uomo. Il progresso tecnologico è sempre stato considerato un valore contro l’oscurantismo. Ciò con cui dobbiamo relazionarci oggi, però, non è tanto il cambiamento quanto la velocità con cui sta avvenendo. Ed é questa velocità a porci dei dubbi sulle nostre capacità di affrontarlo».
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PROGRESSO FUORI CONTROLLO
La sensazione , guardando agli ultimi dieci anni, è che il progresso sia fuori controllo: « Usiamo la tecnologia ma ne diffidiamo: lo smartphone che ci fa pensare di essere costantemente spiati, i robot utili ci portano via lavoro. L’intelligenza artificiale ci inquieta. Quello che mette ansia sono i tempi stretti che abbiamo per trovare strategie”
LA GLOBALIZZAZIONE E IL SISTEMA ITALIA
«La globalizzazione l’abbiamo disegnata noi per ampliare il capitalismo, creando classi medie di consumatori in un clima di democrazia diffusa. Un grande disegno che ha comportato dei postulati: ricadute annunciate in base a previsioni statistiche. Ciò che è avvenuto, poi, è andato in modo differente. Si pensava che l’industria manifatturiera italiana dovesse scomparire perché non era ricompresa nei modelli costruiti a tavolino. Ed è successo, invece, che il nostro paese ha iniziato a esportare di più, anche se ha lasciato sul campo il 25%del suo tessuto industriale del tessile. Oggi, il nostro export ha risultati da record, migliori di quelli di Germania e Francia. Abbiamo un + 7,4% che, però, è andato ad appannaggio solo di una piccola parte di aziende. Il successo si otterrà quando si amplierà la quota di imprese che riesce a intercettare la crescente domanda internazionale. L’Italia, inoltre, ha un tessuto formato da tante aziende capaci ma da pochi capitalisti».
GOVERNARE IL CAMBIAMENTO
«Tutto questo scenario composito va governato e gestito se non si vuole andare incontro a un disastro: il cambiamento all’orizzonte sta procedendo a grandissima velocità, ma abbiamo l’esperienza del passato che ci guida nello studio delle strategie di governo.
La ricetta non è così certa. I risultati ci sono, le eccellenze emergono. Ma un paese non è fatto solo di eccellenze. Bisogna occuparsi di chi rischia di annegare perché quel fallimento potrebbe risucchiare l’intero paese. Oggi ci troviamo a discutere in Europa del caso Embraco: l’Europa ha deciso di investire in politiche di sviluppo di aree meno ricche per creare condizioni di vita uguali. Il problema, però, è che in questo suo sforzo non deve permettere che la concorrenza finisca per cannibalizzare il tessuto produttivo degli altri paesi. Dalle ceneri si può sempre risorgere: a volte ci si rialza, ma a condizioni peggiori, a vuole non si riparte più. Occorre prendersi cura delle transizioni sociali, culturali ed economiche. Davanti a noi abbiamo tantissime transazioni e dobbiamo riuscire a governarle». Tra i casi citati anche Amazon e le altre 4 grandi imprese americane che stanno azzerando la complessità imprenditoriale adescando le singole imprese, in un gioco pericoloso tenuto in piedi solo dal timore del concorrente cinese.
CAPITALE UMANO
Non solo investimenti in tecnologia ma anche in capitale umano: « La prima fase dl programma era mirato sugli investimenti di macchinari. Ora è arrivato il momento di puntare sulla formazione. La tecnologia da sola non basterà perché la macchina non governerà mai l’uomo. L’intelligenza non basta. La nostra mentalità poggia su una cultura umanistica e sarà questa la nostra forza»
LA SFIDA E’ APERTA
«Siamo di fronte a una sfida che non ha precedenti e nulla ci dice che andrà bene. Da parte nostra abbiamo l’obbligo di investire. Ma i risultati non arriveranno se, dall’altra parte, non ci sarà la consapevolezza dell’urgenza e dell’esigenza di scommetterci. È una roba tosta ma tanto tosta per cui occorre grande preparazione».
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