Le idiozie del linguaggio inclusivo. Asterisco (*) e Schwa (ə) non hanno futuro
La rubrica "Il prof tra i banchi", curata da Alberto Introini, tratta argomenti di scuola, didattica e formazione: in questa puntata si parla del presente, ma anche del futuro degli studenti

In questi mesi, come non mai, si è tornato a parlare del linguaggio inclusivo. Mi riferisco non al femminile di alcuni nomi e professioni (ministra, assessora, avvocatessa…), ma soprattutto a quei segni che
vorrebbero eliminare le differenze di genere (femminile e maschile) per adottarne uno neutro: l’asterisco e la schwa, che si scrive come una “e” rovesciata (ə), ma la cui pronuncia – come quella dell’asterisco – sostanzialmente non esiste. E già questo aspetto è parte problematica della questione, ma ci torneremo
dopo.
Sta di fatto che alcuni enti pubblici nei propri bandi, e anche alcune scuole nelle proprie circolari, hanno iniziato ad usare queste soluzioni: car* cittadin*, gentilə alunnə. A essere messa sotto accusa è la predominanza del maschile nei plurali di gruppo: si fa cioè sociologia in quella che è una pura e semplice regola grammaticale. Come se il problema della predominanza del maschile non fosse nelle professioni, nelle cariche e negli stipendi, ma nella grammatica. Le parole sono importanti – si dirà – e io su ciò di certo concordo, ma sul linguaggio inclusivo mi pare si stia attuando una lotta sterile, come don Chisciotte contro i mulini a vento.
Due riferimenti
Poche settimane fa, l’Accademia della Crusca ha fornito alcune indicazioni alla Corte di Cassazione, che aveva chiesto chiarimenti sulla parità di genere da adottare negli atti giudiziari. Ebbene, l’Accademia invita a ricorrere alla declinazione femminile dei nomi che indicano professioni o cariche istituzionali. Invece,
indica di continuare a usare il plurale maschile per i gruppi e di evitare i segni dell’asterisco e della schwa. La motivazione è molto esplicita: “La lingua giuridica non è sede adatta per sperimentazioni innovative minoritarie”, si legge nel documento accademico; che poi, su quei due segni, afferma altrettanto nettamente che “sono in parte frutto di una radicalizzazione legata a mode culturali”. Tra le righe, quindi, si capisce che i segni “neutri” riguardano istanze minoritarie e potrebbero essere una moda passeggera, oltre che ideologica. Un altro riferimento che ho trovato interessante è stato il libro di Andrea De Benedetti, docente universitario e saggista, pubblicato da Einaudi. Titolo e sottotitolo dicono già molto: “Così non schwa. Limiti ed eccessi del linguaggio inclusivo”. Ovviamente, addentrandosi nella lettura, se ne capiscono le numerose argomentazioni.
Alcune conclusioni
Innanzitutto, come accennato prima, l’utilizzo dei segni neutri introdurrebbe nella lingua italiana dei suoni che al momento non esistono. Tecnicamente, si dice che sono dei grafemi senza fonemi. Di conseguenza, che senso ha scrivere delle “lettere” se non si può contemporaneamente pronunciarle? Proprio in questo aspetto sta il grande equivoco, perché – utile ricordarlo – la storia di ogni lingua è dapprima orale, e solo dopo anche scritta: i suoni precedono le lettere; la scrittura è un prodotto posteriore al parlato. Infatti, il genere umano ha lasciato qualcosa di scritto almeno 150 mila anni dopo aver imparato a parlare; i bambini iniziano a scrivere quattro o cinque anni dopo aver pronunciato le loro prime parole. Inoltre, con l’asterisco e la schwa, si tratterebbe di ripristinare un terzo genere – il neutro – in una lingua che ne prevede solo due – il maschile e il femminile. Il neutro esisteva nel latino classico di duemila anni fa: riportare in vita il neutro, quindi, non è progresso, non è un andare avanti, né tantomeno “essere moderni”. Col neutro, peraltro, si complicherebbero non di poco i meccanismi linguistici, si aggiungerebbero regole e difficoltà nelle concordanze. E ad avere maggiori difficoltà sarebbero proprio alcune categorie di persone più fragili: i bambini con un dsa, gli anziani, gli stranieri. Suona molto incoerente che, per includere una minoranza, si escludano altre minoranze, peraltro molto più numerose.
Per questi motivi, credo che asterisco e schwa non abbiano né sostanza, né futuro. Usando un gioco di parole, asterisco e schwa rimarranno lettera morta. Ed è un bene che sia così.
Alberto Introini, dopo aver insegnato in vari licei della provincia di Varese, dal 2008 è docente di Italiano e Storia presso l’Istituto Elvetico di Lugano (Svizzera). Ha due lauree, in Lettere-Filosofia (2002, Università Statale di Milano) e in Storia (2022, Università di Zugo, Svizzera). Iscritto dal 2004 all’Ordine dei Giornalisti di Milano, ha pubblicato 4 libri. Partecipa come relatore o moderatore a diversi eventi culturali nel nord Italia. La sua rubrica settimanale “Il prof tra i banchi” tratterà argomenti di scuola, didattica e formazione, commentando le notizie di attualità che si susseguiranno nel corso delle settimane.
Prof. Alberto Introini
Docente e scrittore
@intro.prof
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