“In Ticino lo Stato non è visto come un nemico”

Anche in Ticino il problema dell'industria è la carenza di manodopera. Intervista con Sandro Lombardi, direttore dell'Aiti

«Ogni volta che parlo con i miei colleghi italiani mi accusano di portar via la manodopera». Ecco qui in poche parole la questione centrale che oltre al nord Italia sta vivendo anche il Canton Ticino con le sue industrie. A parlarne è un esperto, Sandro Lombardi, direttore dell’associazione industrie ticinesi. Come tanti dirigenti di questo piccolo Cantone ha una pelle anche italiana. Come tanti unisce la cordialità alla professionalità e all’informalità. Lombardi è uno dei novanta parlamentari del Gran Consiglio, il Parlamento ticinese. Un uomo che conta, ma che fa della semplicità e dell’ottimismo due suoi veri cavalli di battaglia. 

Lombardi, la Lega unisce Varese al Ticino?

Quante sono le aziende industriali?

Quanti sono gli addetti?

Quali sono i settori più forti?

Come vivono gli industriali ticinesi la globalizzazione?

Qual è allora il problema maggiore dei vostri associati?

E come fate?

Ma se la situazione è questa, come mai il Ticino ha bocciato gli accordi bilaterali?

A proposito di sindacati, come è possibile che regga così a lungo la concertazione?

A proposito del sistema politico, le ultime elezioni sembrano aver indicato una certa insofferenza verso il consociativismo…

Per chi volesse investire in Ticino la stabilità del vostro paese è portato come uno dei punti di forza. Ce ne sono altri?

«Quando si parla della Svizzera è ricorrente sentire che è un paese estremamente caro. Il Ticino non fa astrazione da questa opinione. Ma in realtà, da un punto di vista complessivo la Svizzera, e per quanto ci concerne il nostro Cantone, sono in grado di offrire condizioni ottimali per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale. Siamo un Paese politicamente e socialmente stabile; in ambito economico conosciamo da decenni una pace sociale fra i partner economici (imprenditori, sindacati), che permette di coniugare al meglio le esigenze delle imprese e le prerogative dei lavoratori, attenuando notevolmente i conflitti fra le parti sociali. Siamo dotati di infrastrutture e vie di comunicazione di prim’ordine (strade, autostrade, ferrovie), che permettono rapidi quanto efficienti collegamenti all’interno del paese e verso l’estero. Queste infrastrutture, sarà il caso soprattutto di quella ferroviaria nei prossimi anni, sono costantemente oggetto di verifiche e di investimenti per l’ammodernamento, nell’ottica anche di un consolidamento della piazza economica elvetica. Insomma, se si esclude il costo della manodopera che è più alto, ma non determinante, possiamo affermare con certezza che conviene investire in Svizzera. È un sistema efficiente e lo Stato non è visto come un nemico. In 24 ore si hanno tutte le risposte a qualsiasi dubbio, sia legislativo, che fiscale».«Certamente esiste una forte spinta verso la polarizzazione delle forze politiche. La vittoria dell’Udc ne è una riprova. Il partito socialista perde il primato dei voti, ma non arretra. A farne le spese sono i partiti di centro e questo potrebbe portare lentamente alla fine dell’esperienza svizzera. Il fatto che ogni partito avesse un ruolo di governo ha garantito per anni la stabilità non solo politica, ma anche sociale. Un aspetto di cui hanno beneficiato tutti e non solo i residenti».«Per paura e per la forte presenza di un movimento come la Lega. Si è fatto leva sul timore che l’apertura, seppur molto parziale e diluita nel tempo, avrebbe potuto far entrare tanti stranieri e diminuire i salari. In realtà questo fenomeno dovrebbe avvantaggiare la nostra realtà e comunque abbiamo predisposto una commissione proprio per osservare il corretto utilizzo degli accordi. Altro aspetto positivo degli accordi è quello che potrebbe portare ad un abbassamento dei prezzi, fattore molto positivo per la nostra economia. Certo dal 2002 potremmo subire la concorrenza per esempio dei vostri artigiani, ma questo avrà un periodo di accompagnamento in cui il nostro ruolo e quello dei sindacati sarà centrale».«Li cerchiamo ovunque e, quindi, anche da voi… ma non è facile nemmeno questo. Nel 1997 abbiamo fondato Actor il cui scopo principale è quello di raccogliere e soddisfare le necessità di personale delle imprese industriali del Cantone Ticino. ACTOR opera quindi dall’interno del mercato del lavoro, in particolare quello legato alla disoccupazione, partendo dai bisogni delle imprese industriali (posti di lavoro vacanti) piuttosto che dalla sola e semplice offerta (l’insieme dei disoccupati)».«Come gli altri. Con preoccupazione. La differenza da noi è che invece la popolazione non avverte questo pericolo perché considera l’industria insignificante. Del resto l’agricoltura ha sempre avuto un peso politico maggiore e subito dopo viene il terziario. Basta pensare a cosa rappresenta il sistema bancario. Per gli industriali la questione invece è seria e molto sentita. Abbiamo operato delle scelte di qualità. Non avendo materie prime e subendo la forte concorrenza sul piano del costo del lavoro, si è privilegiato prodotti di nicchia con un’alta tecnologia e con forte valore aggiunto».«Sono due. L’abbigliamento, che una volta era trainante e la meccanica elettronica. Per capire come va la congiuntura noi siamo soliti analizzare le aziende di quest’ultimo tipo. Se vanno bene loro si può star tranquilli. Questo è un buon periodo di congiuntura. Abbiamo commesse per diversi mesi quando invece eravamo abituati a lavorare con prospettive molto più brevi».«Meno di un quarto degli occupati. Circa 28mila di cui solo un quarto sono ticinesi. La cultura industriale nel Ticino si è sviluppata poco ed è poco radicata nella società perché la popolazione è tradizionalmente impiegata in altri settori. Il traforo del San Gottardo nel 1882 è una data storica per l’economia ticinese. Il mercato interno molto ristretto e gli ostacoli dovuti alla catena alpina da una parte e al confine politico con l’Italia dall’altra, sono da considerare come le cause principali del decollo relativamente tardo dell’industria ticinese. Negli ultimi 20 anni ci sono stati diversi cambiamenti. L’Aiti ha iniziato a contare e ad essere riconosciuta. Anche a livello legislativo sono state emesse leggi che incentivano e aiutano le aziende industriali».«Sembrerebbe, ma in realtà sono fenomeni diversi. Dovrei parlare solo male del nostro Bignasca, se interpretassi in modo ortodosso la mia attività parlamentare, ma non ne sono capace perché rimane comunque una persona leale, anche se Bossi al confronto sembra un milord inglese. Entrambi i movimenti prendono spunto da un forte malcontento generale, ma qui si spiega davvero meno e soprattutto si capisce ancor meno chi li vota. Ma, anche se la politica è la mia passione, passiamo ad altro…»«In Ticino anche aziende molto piccole, a partire dai sei addetti, sono considerate industriali. Quindi con i nostri parametri abbiamo circa 500 unità. In realtà, se si considerano gli standard europei ce ne sono circa 200».«La mancanza di manodopera. In questo siamo simili ad alcune zone della Lombardia. Con una differenza sostanziale però. Da voi c’è una cultura industriale ormai radicata. Ci sono ancora giovani disposti a fare quel lavoro. In Ticino questa mentalità non c’è. Inoltre, con gli anni, sono state introdotti dei provvedimenti a tutela dei disoccupati. Questi per due anni hanno diritto al 70-80% della retribuzione e quindi sono meno incentivati ad andare a lavorare nell’industria. Da oltre un anno nelle liste di disoccupazione non abbiamo più quasi nessun nominativo da poter attingere».«La pace del lavoro dura, in effetti, dal 1937. È da allora che non ci sono più scioperi significativi. Sindacati e imprenditori sono obbligati a sedersi allo stesso tavolo per discutere e risolvere i conflitti. Nello specifico noi con l’Ocst (cristiani sociali) e FLMO (metallurgici e orologiai) abbiamo fondato un forum industriale per definire insieme le politiche. Questo schema di lavoro del resto è in sintonia con il nostro sistema politico dove la democrazia è davvero diffusa e si tiene conto del parere di tutti».

Sandro Lombardi è nato a Viterbo nell’aprile del 1951.
Nonno ferroviere, genitori viterbesi. "Mio padre ha fatto il giocatore di biliardo, l’impiegato al consorzio agrario e poi il ferroviere". Nel 1957 si trasferì a Como e nel 1959 a Chiasso.
Diplomato all’Itc di Como si è poi laureato in Giurisprudenza alla Statale di Milano "quando il rettore era Capanna".
Ha vissuto quegli anni con una grande attenzione verso i fatti ticinesi. "Ho fatto di tutto per non andare a lavorare in banca. Poi mi sono comunque occupato di finanza lavorando tra Milano e Lugano con il gruppo Bagnasco".
Nel 1985 ha iniziato a collaborare con l’Aiti di cui è ora direttore. 
Nel 1995 è stato eletto parlamentare del Gran Consiglio, il Parlamento centrale del Ticino, per il PLRT. LIberale, si proclama di centrodestra.
"Felicemente divorziato", si è risposato quattro anni fa. Ha due figlie di 15 e 17 anni.
Hobby: "venti chili fa lo sport subacqueo. Oggi la politica". Ama la Toscana e Lucca dove va spesso in vacanza.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 16 Gennaio 2001
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