Insegna all’Insubria la punta di diamante della ricerca sul cancro
Intervista a Elisabetta Dejana, docente dell'Insubria e ricercatrice dell'istituto Mario Negri, nei giorni in cui in Svizzera si comincia la sperimentazione di un farmaco ispirato alle sue ricerche
In Canton Ticino è stato siglato in questi giorni un accordo di cooperazione tra l’Ente ospedaliero cantonale (Eoc), l’Istituto oncologico della Svizzera italiana (Iosi) e l’Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori di Milano che prevede la sperimentazione, che avrà inizio a maggio su un ben definito numero di pazienti affetti da alcuni tumori – in particolare quello dell’intestino – di un farmaco prodotto negli Stati Uniti che dovrebbe riuscire ad arrestare la crescita delle cellule tumorali, impedendo al tumore di svilupparsi bloccandone la produzione di vasi sanguigni. Un farmaco che sfrutta i risultati di alcune ricerche partite dagli Stati Uniti ma che hanno avuto significativi sviluppi in Italia, dovuti principalmente agli studi di Elisabetta Dejana, professoressa di patologia generale all’università dell’Insubria e ricercatrice per l’istituto "Mario Negri" e l’istituto Firc di Biologia molecolare, che un paio di anni fa una fece una scoperta molto importante per lo studio dei tumori in fase avanzata. "Non ho conoscenze dirette della sperimentazione ticinese, ma se ha come scopo finale quello di inibire la vascolarizzazione dei tumori segue in effetti la stessa strategia di Folkman o nostra – spiega la professoressa Dejana – In effetti sta già circolando la sperimentazione di farmaci realizzati da industrie che si basano sulla conoscenza di queste scoperte ma hanno utilizzato le informazioni derivanti dalla ricerca di base per elaborare dei farmaci più velocemente: finora hanno avuto fortuna, e sono già arrivati alla sperimentazione negli ospedali, che è una buona cosa se il farmaco non dà eccessivi effetti collaterali ed è realizzata su persone che non hanno altre speranze. Ma per poter dire se questo farmaco è effettivamente utilizzabile sull’uomo, ed è efficace, bisogna ancora vedere i risultati della sperimentazione clinica. Potrebbe dare risultati deludenti…. Sarebbe bello che tutto andasse bene, ma è necessario non nutrire speranze eccessive per l’immediato: prima di vederlo di routine negli ospedali o in farmacia ci vorrà ancora parecchio tempo. La ricerca sull’uomo ha bisogno di diversi anni per arrivare a conclusioni certe". La scoperta della Dejana nasce dai risultati di una ricerca americana di Judah Falkman cominciata negli anni settanta. Falkman aveva fatto una scoperta importantissima per tutti gli scienziati che si stavano dedicando alla ricerca contro il tumore: che l’inibizione della vita ai vasi che forniscono il sangue alle masse tumorali sarebbe stata in grado di inibire la vita dell’intero tumore. Quella di Falkman era una ricerca destinata a impedire ai tumori di nascere, ma la Dejana è andata oltre, facendo balzare le scoperte della sua equipe sulla più famosa rivista scientifica americana, "Cell": la ricercatrice italiana ha infatti scoperto che l’inibizione della vita nei vasi è in grado anche di far "morire" le masse tumorali anche quando sono in fase primaria avanzata, o già metastatizzati. Una scoperta effettuata finora solo su topi da laboratorio ma che ha rivoluzionato lo stesso modo di sperare come sconfiggere il cancro, fino ad ora considerato solo prevenibile e non curabile in fase avanzata. In qualche modo, la ricerca che ha dato tanta fama alla Dejana, è però ora archiviata. Proviamo però con la ricercatrice a fare innanzitutto un ripasso della sua scoperta: "La ricerca pubblicata su Cell riguardava degli studi sugli embrioni dei topi, il cui sistema vascolare è quanto di più simile ci sia al sistema di vasi sanguigni che irrorano il tumore. Questi vasi sanguigni sono come "tappezzati" da "piastrelle", chiamate cellule endoteliali, tenute insieme da una specie di "cemento", la proteina VE-Caderina, che è stata la nostra prima scoperta. Riuscire a inibire questa proteina significava disgregare i vasi sanguigni e perciò far regredire l’organismo, sia esso l’embrione o il tumore, che viene irrorato e perciò tenuto in vita da questi vasi. Noi ci siamo riusciti allora, disattivando con un espediente il gene che codifica la VE Caderina negli embrioni". Chi si occupa ora della sua scoperta, effettuata su topi da laboratorio e perciò destinata ad ulteriori ricerche per poter verificare la sua applicazione sull’uomo? Messa da parte questa scoperta, in attesa che le industrie farmaceutiche scoprano se e in che modo essa sia utilizzabile sull’uomo, di cosa si occupa ora il vostro gruppo di studio? Tutte queste ricerche lei le svolge a Milano, all’Insubria si limita ad insegnare… E’ stata recentemente designata, dal primo ministro Amato, come rappresentante scientifica della commissione italiana dell’Unesco: una bella soddisfazione… Ha fatto esperienza come professore a Grenoble, a Torino, a Brescia e a Messina prima di arrivare all’Insubria: cosa pensa dell’università e dei suoi studenti? |
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