Franco Tacchella, una vita dedicata alla corsa

Ha 74 anni e continua a correre con serenità e senza problemi; nel ’75 all’Olimpico stabilì il record mondiale di 50 ore ininterrotte di corsa

Che sia un degno erede di Filippide, l’uomo che compì l’impresa di Maratona, nessuno lo può mettere in discussione. Si chiama Franco Tacchella, vive a Saronno, compie 74 anni il prossimo 13 agosto e della corsa ha fatto la sua regola di vita. «Peccato che abbiano iniziato a regolarizzare e organizzare le prime corse ufficiali solo quando avevo 46 anni» racconta Tacchella che come impresa più grande della sua vita racconta, ancora con gli occhi lucidi, quella del 27 gennaio 1975, quando stabilì il record mondiale delle cinquanta ore di corsa ininterrotta: oltre due gironi consecutivi senza fermarsi. «Partii di venerdì a mezzogiorno e arrivai alle due di domenica 27 all’Olimpico gremito di gente. Ma non erano tutti li per me: due ore più tardi la Roma avrebbe giocato contro l’Inter. Non mi ricordo come finì la partita». Corse per 326 chilometri e 170 metri. (nella foto sopra: Franco Tacchella; sotto: il tabellone dell’Olimpico al suo arrivo nel ’75) 

Nel proprio regno, il seminterrato di casa ribattezzato “La taverna dello scoiattolo”, Tacchella mostra timido le numerosissime medaglie conquistate in questi anni. Non c’è posto per tutto e lui non si dilunga a spiegare quanto compiuto in questi anni e quanto ancora sta facendo. «Non è niente, io corro e basta, corro solo per me stesso». Proprio sabato scorso il corridore ha ritirato un premio alla cento chilometri di Bien Bielle per aver partecipato alla gara per vent’anni consecutivi. Della sua età solo sei sono arrivati all’arrivo. Ma le vere imprese che il corridore ricorda più volentieri sono quelle degli inizi. Sempre nel ’75, ma ai primi giorni di novembre, corse anche per 60 ore ininterrotte, in occasione dell’inaugurazione del campo sportivo di Origgio: «C’era un freddo, con forte vento e pioggia, ma io mi divertivo – racconta – la gente faceva scommesse e poi di notte veniva a vedere se correvo ancora e le luci del campo erano ancora accese. E io andavo avanti e li fregavo tutti».

Per venticinque anni Tacchella ha lavorato come disegnatore tessile, poi, quando la ditta chiuse, divenne venditore d’auto in una concessionaria di Saronno. Ma ogni fine settimana c’era una corsa da fare. Doveva farla. Adesso è in pensione ormai da anni e non rimane mai fermo. Sistema la casa e taglia la siepe a quasi tutti i vicini. E naturalmente sempre la corsa. In questi anni ha continuato a correre e anche a vincere, ma per lui questo conta poco: «Non vado per osterie, non vado a ballare; allo stadio ci vado solo per correre; ogni giovedì sera mi alleno con il preparatore atletico della squadra di calcio Team Prandina. Questa è la mia vita». Negli ultimi anni ha vinto, nella sua categoria per tre volte, la maratona di Bertalp nella Svizzara Francese, gara che fiancheggia il ghiacciaio più lungo d’Europa. «Il primo anno mi hanno premiato con il vino, poi bevuto con gli amici; il secondo anno una busta con 100 franchi, spesi con gli amici la sera stessa tornando a casa; il terzo anno una grande forma di formaggio, naturalmente divisa con gli amici. Il mese prossimo ci ritorno, vediamo cosa succede». Nel suo passato anche due maratone di New York, qualcuna ad Atene e altre nel resto d’Europa.

Tacchella accetta i complimenti, ma timidamente. «Mi hanno spesso detto "bravo", ma è solo una parola inventata: il mio è un dono, ognuno di noi nasce con un dono, bisogna solo sfruttarlo, non c’è da essere "bravi"». Moltissime le medaglie in esposizione nella “Taverna dello scoiattolo”, ma quello che il corridore mostra più volentieri sono le foto che lo ritraggono giovane. Immancabile il riferimento all’età: «È normale sentire che le forze non sono più come quelle di una volta, ma attenzione: Pensii minga a murì, ma a cour (non penso a morire, ma a correre). La vita è una cacca di vacca, non ci piace ma poi lì nascono dei bellissimi fiori». A chiedergli se nelle sue corse abbia mai avuto, o abbia tutt’oggi, momenti di sconforto racconta: «Quando ero all’Olimpico c’era mio padre seduto sui gradoni dello stadio con la sua bella Alfa in bocca che mi diceva “Non farmi far figure”. Io lo prendevo in giro fermandomi ogni tanto e dicendogli “sono stufo, la pianto qua” e lui subito “non farmi far figure, non farmi far figure”. I momenti di sconforto è normale che ci siamo, ma per andare fino in fondo a me basta pensare a quell’immagine di mio padre e alla sua soddisfazione».


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Pubblicato il 21 Giugno 2002
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