L’Albertone nazionale si è spento nella notte
Dopo una lunga malattia, Alberto Sordi lascia il ricordo dell’uomo che ha risollevato l’Italia del dopoguerra con le sue interpretazioni dell’italiano medio
Si è spento nella sua villa a Roma l’Albertone nazionale. Da tempo malato aveva 82 anni, ma questo non ha mai fatto diminuire la sua passione per il cinema. Per oltre 60 anni ha incarnato la figura dell’italiano medio, che fosse a Roma o New York, chiunque incontrasse un italiano per prima cosa pensava ad Alberto Sordi, soprattutto durante il periodo del boom economico degli anni ’50.
Ma quello fatto da Alberto Sordi, non è mai stato un cinema medio. I personaggi interpretati hanno abbracciato una grande varietà di tic e manie degli italiani. Tic oggi ormai diventati luoghi comuni e scontati, ma che una volta erano segno di una sottile ironia, dalla parlata “romanaccia” alla voglia di imitare in tutto i “cugini” americani.
Sordi ha iniziato come doppiatore di Oliver Hardy nelle pellicole di Stanlio e Onlio, poi è passato a lavorare in radio nel ’47. Ben presto è passato al cinema con le sue caratterizzazioni a volte costruite, ma molto spesso basate sull’istinto. Nel ’53, infatti, fu proprio Fellini che lo volle per l’interpretazione del divo che approfitta della propria immagine ne Lo sceicco Bianco. Poi ha lavorato con registi che, insieme a lui, hanno creato la cosiddetta commedia all’italiana, basata, appunto, sulla esagerata, ma non per questo fasulla, caratterizzazione dei pregi e dei difetti degli italiani.
Nel periodo del dopoguerra il cinema usciva dal difficile e grandioso periodo del neorealismo, necessario a rappresentare una realtà dalla quale bisognava ripartire. E quale migliore partenza di quella di trovare un grande attore nel quale ogni italiano potesse identificarsi? Soprattutto in un periodo in cui si passava con una velocità impressionante dalla povertà alla borghesia.
E così, insieme ad artisti del calibro Fellini, Steno, Monicelli, Risi e lo sceneggiatore di fiducia Rodolfo Sonego, divenne, insieme a Vittorio Gassmann, Ugo Tognazzi e Manfredi, uno dei protagonisti dei cosiddetti Mostri della commedia all’italiana, lasciando il segno con pellicole come Un americano a Roma, La grande guerra, Il vigile. Non si trattava solo di macchiette e caricature, i suoi personaggi avevano tutti una malinconia di fondo basata soprattutto sulla continua ricerca di una propria identità, soprattutto culturale.
Negli anni ’80, degno erede della commedia all’italiana sembrava proprio essere Carlo Verdone, con il quale Sordi ha recitato anche in Troppo Forte, ma soprattutto In viaggio con Papà, quest’ultimo una sorta di passaggio di testimone tra i due attori.
Da qui Sordi ha curato qualche regia, ma la sua malinconia a una presa di posizione piuttosto pessimista nei confronti della vecchiaia, ha dato vita a personaggi non sempre riusciti, ma costantemente impregnati da quel malinconico ricordo dell’italiano medio invecchiato.
Un ricordo che grazie alla settima arte rimarrà sempre vivo: Sordi è stato l’attore-simbolo di decenni di storia italiana, uomo che ha contribuito a risollevare, soprattutto moralmente, l’intera nazione.
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