Una storia di volontariato raccontata grazie alla posta elettronica
Missione in Etiopia
Le parole e i gesti concreti scambiati prima della partenza sono ancora vivi dentro noi, ed ancora più ora che siamo immersi in questa realtà, spesso così cruda, che non ci permette nè retoriche, nè spesso sentimentalismi. Ciò che siamo, che abbiamo costruito nella nostra vita, gli affetti delle persone che ci sono vicine, di tutti voi, sono la sola nostra arma possibile, per andare avanti, per non pensare a ciò che è stato, in questo angolo di mondo così pieno di ingiustizie, di soprusi, di lotta fino all’ultimo per poter sopravvivere…
E la cosa ancor più assurda è che chi ne paga il prezzo maggiore, sono sempre i bambini, perché piccoli ed indifesi… L’atro ieri siamo stati a recitare una preghiera, quello che noi chiamiamo rosario, in una delle tante capanne che sorgono alla periferia di Zway, una cittadina di 20000 abitanti, 200Km a sud di Addis Abeba, dove i salesiani sono presenti con molte attività dal 1986. In questa capanna c’era parecchia gente, i vecchi del villaggio. Una delle tante situazioni analoghe alle quali spesso i salesiani sono chiamati dai parenti in ogni ora del giorno e della notte, per poter portare l’ultima benedizione. Questa volta però, come spesso capita, era un bimbo di circa tre anni, che non ce l’ha fatta di fronte alla sofferenza della carenza di alimentazione, e di tutto ciò che questo porta con sè, malattie, e altro. Di cose come queste le nostre giornate sono piene.
Non voglio però solo rattristarti con questi racconti, perché di altrettante cose belle spesso si gioisce. E’ il caso del bimbo di 9 mesi abbandonato dalla madre fuori dal cancello durante la notte, denutrito, sottopeso e malato, che dopo 6 mesi di cure affettuose e ricostituenti da parte delle suore che se lo sono preso in casa, ora può tentare di imparare a camminare da solo, e ride con tutti gli altri bambini, o dei simpaticissimi 118 bambini senza genitori, perché morti per AIDS, spesso loro stessi malati, che ogni giorno dalle 8 alle 18 rimangono all’interno del compound della nostra missione, e qui ricevono un po’ di calore umano, un pasto ed una merenda, ed i piu grandicelli (5-6 anni) iniziano a frequentare la scuola della missione. L’alternativa sarebbe la strada, luogo dal quale provengono.
Poi ci sono gli 800 alunni “normali”, dalla prima elementare alla 12esima, corrispondente alla nostra prima o seconda superiore. Sono loro la promessa di un futuro migliore per questa nazione. E poi ancora, storie di salesiani, di comboniani, o di strani quanto sconosciuti ordini di suore che qui davvero stanno facendo miracoli.
Le giornate per noi trascorrono veloci. Sveglia alle 6,30, 6,45 in chiesa per le lodi e la Messa con la comunità. 7,15 colazione. Alle 7,45 parte il pulmino che ci porta dalla parte opposta della città, a nord, dove alle 8,30 iniziamo la nostra lezione di lingua locale, l’amarico. Alle 12,15 ritorno in missione per il pranzo, e dopo, fino alle 18,45 ora dei vespri, siamo a disposizione delle varie esigenze della missione. Ad esempio io aggiusto qualcosa, porte e vetri della scuola, il famoso generatore di corrente (perché qui in Addis la tolgono spesso), la manutenzione ai vari fuoristrada, ed ora c’è anche l’aula computer da mettere in piedi, con relativi corsi, oppure andiamo nell’altra missione di Addis, quella dove c’è don Dino con Gigi, Chiara ed i loro 2 figli, e che si occupano del progetto di recupero dei ragazzi di strada… DA VEDERE!!!!!…per concretezza ed operosità. Cristina spesso aiuta Donato, salesiano laico, che si occupa dei 118 bambini di cui sopra, oppure sta con le ragazze dell'”egisera”, piccola cooperativa nata all’interno della missione, che produce ricami, tendaggi, tovaglie, copriletti. Alle 19,15 cena, e poi qualche chiacchiera con i salesiani che raccontano delle loro “avventure”, oppure che ci “catechizzano” su come sopravvivere in questo paese, e poi a nanna.
Qui nel compound, c’e anche un certo movimento. Infatti una parte è ancora cantiere, ed oltre a completare la chiesa, si sta ultimando la casa dei volontari, cioè quella dove, speriamo presto, entreremo io e Cri. Bisogna seguire i lavori, che di certo per tempi e qualità del lavoro, non sono paragonabili ai nostri cantieri “occidentali”. Ecco quindi che necessitano di un sopralluogo giornaliero con il geometra capocantiere, per verificare e per modificare insieme il procedere dei lavori. C’è un piccolo appartamentino, più tre stanze con bagni indipendenti, studiate sia per l’estate quando vengono i ragazzi dall’Italia durante i mesi estivi, sia durante l’anno per eventuali ospiti legati in qualche modo ai volontari presenti per tempo lungo.
(5 novembre 2003)
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