L’industria varesina è in crisi: le analisi (e le ricette) degli Artigiani
Marino Bergamaschi (Associazione Artigiani) e Gianni Mazzoleni (Cna) replicano alle osservazioni del presidente della Provincia Marco Reguzzoni
«L’industria varesina è in crisi? In tutta franchezza non capisco il grido d’allarme lanciato dal presidente della Provincia Reguzzoni perché non ha senso che arrivi proprio da chi le soluzioni dovrebbe trovarle. Noi, come Associazione Artigiani, abbiamo più volte rimarcato il fatto che sia compito principale di tutti gli attori sociali, e quindi anche della Provincia, tirare fuori dalla secca il transatlantico dell’economia. L’allarmismo non è di alcuna utilità, non è così che si trovano le soluzioni». Marino Bergamaschi, direttore dell’Associazione Artigiani della Provincia di Varese risponde così alle osservazioni del presidente della Provincia sul difficile momento per l’economia varesina.
«Dal mio punto di vista, bisogna partire dall’analisi attenta della situazione che vede quattro questioni irrisolte sul tavolo, quattro bombe pronte ad esplodere. La prima riguarda la nuova struttura del lavoro: buona parte di coloro che oggi hanno contratti occasionali nel 2030 non potrà godere di nessuno strumento pensionistico. Il secondo tema è quello ormai “storico” dell’invecchiamento della popolazione e della contrazione dei residenti sotto i vent’anni. Questo argomento investe anche la sfera, più ampia, della curva demografica e dell’immigrazione.
Il terzo punto da analizzare con estrema attenzione concerne il welfare sociale: non siamo ancora riusciti nemmeno ad avvicinarci a Paesi come Francia o Svezia dove il progetto di tutela della famiglia e la crescita della prole è collaudato e funzionante.
Ultimo punto riguarda la mancanza di competitività delle nostre aziende. Alcune, la maggior parte, sono piccole o piccolissime e vivono la competizione come un vincolo, un limite. Non sono quindi in grado di studiare strategia e questo, alla lunga rischia di affossarle.
Ecco, io credo che sia necessario analizzare punto per punto i singoli problemi. Le soluzioni non saranno a portata di mano ma sono comunque molto vicine a noi: vivere la competitività come un’opportunità e in questo modo l’Europa e l’euro diventeranno una grossa occasione. Discorso a parte merita la privatizzazione dei beni pubblici che io vedo più come public company; società come Prealpi Servizi debbano allargare l’azionariato ai privati cittadini. E’ vero che la privatizzazione è una questione anche politica, ma non è possibile cambiare gli assetti societari senza partire dalle esigenze del mercato: perché la missione di questa azienda è quella di fornire servizi a prezzi vantaggiosi ai clienti, ovvero ai cittadini.
Altro aspetto investire nella ricerca, anche quella medica e studiare un welfare efficace, modificando gli assetti del prelievo locale. Per le tradizioni sulle quali poggia il nostro Paese io vedo di più la creazione di una “welfare society” , la stessa che in passato ha dato origine a grandi istituzioni di solidarietà, fondazioni e ospedali, scuole e opere caritative.
Competitività e mutualità è questo il modello Europeo al quale dobbiamo ispirarci».
Analisi puntuale anche quella di Gianni Mazzoleni, segretario di Cna Varese Ticino – Olona.
«L’uscita del Presidente della Provincia che parla apertamente di crisi dell’industria varesina si presta, dal nostro punto di osservazione, ad alcune considerazioni :
– Non è la prima volta che la ripresa delle attività post ferie è difficile, anzi … Oramai da gennaio 2003 tutte le ripartenze sono stentate e le imprese che a noi fanno riferimento segnalano lo stress produttivo dei mesi di novembre e di luglio e la lentezza nella ripresa di gennaio e di settembre.
– Evidentemente, la difficoltà di una grande impresa è decisamente più appariscente delle sofferenze delle tante micro imprese che costituiscono il tessuto connettivo dell’economia della nostra Provincia. Forse, se si prende come esempio il tessile, sarebbe stato opportuno cogliere i tanti segnali di allarme elevati quando erano le imprese artigiane a chiudere e non considerare il fenomeno come una naturale conseguenza del libero mercato. Magari sarebbe stato possibile mettere in campo interventi che, presi oggi, sono fuori tempo massimo.
– L’artigianato è una realtà complessa e variegata (in Varese, 23.500 imprese e oltre 120 mestieri), di cui da anni stiamo osservando una mutazione della sua composizione che preoccupa. Ma, d’altra parte, se contro ogni logica la tendenza che avanza è quella di una ulteriore frammentazione del tessuto economico, è un fenomeno che non serve esorcizzare o tentare di redimere ma che tutti dovremmo tentare di governare con il massimo realismo.
– Il rischio vero del nostro territorio è di essere un insieme di non più : non più terra di aerei, non più terra di elettrodomestici, non più industria cotoniera, non più capitali e non più istituti di credito locali … Tanti segni negativi sommati finiscono per non fare un positivo e la crisi di identità che ne consegue è forse il dato più preoccupante quando ci si pone la domanda del da dove ripartire Forse, all’economia del nostro territorio, è venuta a mancare un’identità precisa e non sempre la multidistrettualità è la soluzione.
– Preoccupa abbastanza, per quanto riguarda l’artigianato e il nostro piccolo osservatorio, la stagnazione dei livelli occupazionali che si deve registrare – in controtendenza anche rispetto agli anni più bui – da gennaio ad oggi : una conferma indiretta della situazione di disagio più generale, ma anche di una sostanziale mancanza di fiducia e un primo effetto, almeno nelle ultime settimane, della liberalizzazione del lavoro nella vicina Confederazione».
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