La crisi dell’industria non è solo varesina
Le associazioni imprenditoriali mostrano ottimismo sulla capacità di tenuta del sistema produttivo
Le affermazioni di Marco Reguzzoni sullo stato di salute dell’industria varesina sembrano non aver colto di sorpresa nessuno. Dai sindacati agli imprenditori la consapevolezza di uno stato generalizzato di difficoltà, che riguarda l’intero Vecchio Continente, è ben presente. Le associazioni imprenditoriali della provincia di Varese, Univa ed Api, invitate a commentare l’intervento del presidente della Provincia, non hanno ricette pronte da servire. In tutti però prevale l’invito a guardare oltre la congiuntura negativa.
Il commento di Univa
«Non si può negare che anche la nostra provincia sia interessata da una fase di difficoltà economica. Lo testimonia, per il settore industriale, anche il dato relativo alla domanda di cassa integrazione guadagni, che rimane su livelli elevati e che potrebbe addirittura superare, a fine anno, il dato del 2003 che è stato l’anno peggiore degli ultimi cinque. Tuttavia, questa fase di difficoltà non colpisce la nostra provincia più di quanto non penalizzi le altre più industrializzate realtà del Paese. Anzi, il nostro sistema produttivo dimostra, nel complesso, una buona capacità di tenuta. Non ci sono segnali di cedimento. Restiamo convinti che la forza del nostro sistema risieda, ancora una volta, in quello che noi chiamiamo la multidistrettualità, cioè la presenza sul nostro territorio di numerosi cluster produttivi ciascuno con una propria filiera e con un proprio ciclo economico. È proprio questa ricchezza di espressione produttiva che, in genere, consente delle compensazioni fra settori in difficoltà ed altri in fase di espansione e che, nel medio termine, ri-orienta naturalmente gli investimenti. Pensiamo che proprio in questi momenti di difficoltà ci sia chiesto di guardare lontano, di guardare con un po’ di ottimismo oltre la congiuntura, lavorando tutti per costruire quelle condizioni che possano consentirci di superare questo momento di affanno».
Il commento di Franco Colombo presidente di Api
«Dire che non c’è un settore trainante a Varese, non aggiunge nulla di nuovo perché non c’è un settore trainante in tutta Europa. È indubbio che ci sia una difficoltà del sistema produttivo europeo e in parte questo problema è stato determinato dalle agevolazioni alla delocalizzazione produttiva. In Italia si fanno degli assemblamenti di pezzi prodotti altrove a cui poi si attribuisce l’etichetta di made in Italy, quindi non si produce più. L’errore concettuale è stato quello di non investire nelle locomotive italiane, cioè quelle aree che avevano un grande dinamismo imprenditoriale, per concentrare le risorse nelle aree svantaggiate. Non si sono fatti piani di recupero delle aree dismesse per metterle al servizio delle nuove imprese come incubatori o come centri per favorire la ricerca, che le piccole e medie aziende non si possono permettere. In secondo luogo c’è il ruolo giocato dall’euro e dall’Europa. Un tempo con la lira si faceva una svalutazione e si recuperava la competitività sul mercato, oggi non è più possibile. Ma l’impatto negativo dell’Europa come istituzione è la burocrazia, perché Bruxelles è l’emblema della vera burocrazia. Mi devono spiegare come si puo’ stabilire quanto latte deve produrre un paese piuttosto che un altro, a prescindere se in quella produzione sei bravo oppure no. In questo modo non si favorisce certo l’eccellenza. Di positivo c’è il fatto che oggi abbiamo tassi di interesse che 15 anni fa ci sognavamo e che avrebbero fatto la fortuna di molti imprenditori. Se bisogna essere ottimisti? Dopo tutto riusciamo ancora ad esportare, anche se, come dicevo prima, non sono prodotti nostri ma assemblati da noi. Più che di produzione parlerei di intermediazione. Oggi abbiamo bisogno di un new-deal, di una proposta nuova e soprattutto di remare tutti dalla stessa parte, ricordando che l’impresa ha un ruolo anche sociale».
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