Marco Filiberti tra film, musica e… angeli
Intervista al poliedrico artista gallaratese che sta realizzando a Roma il suo secondo film dopo il successo internazionale di “Poco più di un anno fa”. In uscita anche il suo terzo cd
“Chi incontra degli angeli a volte può salvarsi, a volte può soccombere”. È la frase con cui si apre il secondo film di Marco Filiberti, il regista 34enne gallaratese la cui opera prima, “Poco più di un anno fa, diario di un pornodivo” è stata venduta in tutto il mondo e ancora continua a essere richiesta a quattro anni dalla sua realizzazione. Regista, attore, sceneggiatore, ma anche musicista e cantante, tanto che attualmente Filiberti è anche impegnato nella promozione del suo terzo cd dal titolo “Body and Soul” prodotto da Paolo Dossena per la Cni. “Una sorta di costola del secondo cd – lo definisce il poliedrico Marco – dove si percorreva la strada dello swing prima della riscoperta del genere che si sta operando oggi grazie a validissimi interpreti”.
Filiberti ha molti progetti in predicato. Oltre al cd è molto impegnato nella realizzazione del lungometraggio “Dimmi che sei luce”, prodotto da Maria Cicogna, storica produttrice italiana che torna al cinema dopo l’Amleto di Zeffirelli. Si tratta di un film sugli angeli tra noi e racconta di un professore di storia dell’arte che ha quasi sostituito l’arte alla realtà dopo aver perso la moglie. L’uomo incontrerà una restauratrice, ma i due, tra arte ed eventi apparentemente inspiegabili, faranno molta fatica ad avvicinarsi.
Il regista gallaratese, che ormai vive a Roma da diversi anni (“ma ogni due o tre settimane devo tornare dalla mia famiglia per qualche giorno” dice), è molto determinato e lo dimostra anche la sua opera prima, “Poco più di un anno fa”, storia della vita di un pornodivo gay, film coraggioso che nessuno voleva produrre, ma nel quale Marco ha messo l’anima per anni, riuscendo ad arrivare anche al festival di Berlino. “Questo film mi ha dato e mi sta dando molte soddisfazioni – spiega Marco -, adesso è appena stato venduto anche in Germania e in Gran Bretagna. Ma soprattutto è un film che mi ha insegnato molto e a cui ho lasciato molto”.
Cosa intendi?
“Ad esempio ho lasciato al protagonista, il pornodivo, il narcisismo che mi caratterizzava. E poi si è preso su si sé, nella sua dimensione, la mia paura della morte. Adesso sto meglio, anche con me stesso”.
Succederà qualcosa di simile anche con il secondo film?
“Non lo so. Credo che la funzione catartica del cinema, per un autore, possa essere vista solo a opera compiuta. “Dimmi che sei luce” sarà un’opera forse più pericolosa per il pubblico perché lo spettatore si identificherà maggiormente con personaggi della vita di tutti i giorni. Il “Poco più di un anno fa” il processo di identificazione era più complicato visto che il protagonista era un pornodivo gay”.
Anche in questo secondo film sarà fortemente presente l’arte in diverse sue forme. E una tematica che sembra attraversare tutte le tue opere, dai cortometraggi ai lungometraggi, è una sorta di incontro tra classicismo e modernità…
“E’ vero, ma in fondo è la storia della mia vita, il mio passato. Una volta mi sentivo totalmente astratto rispetto alla contemporaneità, non riuscivo a integrarmi. Poi per sopravvivenza ho portato il passato e l’arte, nel presente. Non posso farne a meno”.
Il successo del primo film non rischia di creare troppe aspettative su questa tua seconda opera?
“Mi stimolano queste sfide. E poi diciamolo: se il primo film fosse stato un insuccesso probabilmente non sarei qui a realizzare il secondo lungometraggio. E starei molto peggio. Non mi posso certo lamentare”.
Un’altra tematica forte nelle tue opere sono gli angeli, in diverse forme. Ma chi sono gli angeli?
“Ci sono creature al mondo che si possano definire angeli. Io sono molto religioso, e do a questo termine sia una spiegazione trascendentale che umana. Esistono persone che hanno una diversa capacità di emanare luce. Persone che, per illuminare gli altri, molto spesso rinunciano anche alla propria luce. Si tratta di esseri che hanno una qualità emotiva in più”.
Attore, regista, sceneggiatore, cantante, ma chi è Marco Filiberti?
“Sono stato molto criticato per questa mia esuberanza artistica. Non lo volevo, non me lo sono imposto, mi viene così. Ma la mia vera dimensione è quella cinematografica: nella musica ho bisogno dell’aiuto degli altri, ho una buona voce e sono un esecutore che ha una certa fascinazione. Ma in quel campo non penso di lasciare un segno, anche se sono folgorato dalla musica fin da giovane. Nel cinema invece, per me, è come andare a fare la spesa, senza enfasi, mi ci sono ritrovato e sono me stesso al cento per cento. Nei miei film, anche in quelli che sto scrivendo, metto tutto me stesso, senza maschere. Ammiro molto quegli artisti che riescono a essere anche persone normali, padri di famiglia, lavoratori. Vorrei essere come loro”.
Adesso che stai lavorando nel cinema a pieno ritmo, qual è il tuo sogno?
“Non vorrei sembrare enfatico, ma sono sincero: mi piacerebbe far realizzare un sogno a chi è meno fortunato di me”.
Insomma, fare l’angelo…
“In un certo senso, forse sì…”
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