La caduta di un Hitler “umano”
Pubblico e critica divisi per il controverso film sugli ultimi dieci giorni del dittatore tedesco
A volte cercare di rendere umano il male può arrivare anche a disturbare lo spettatore, a destabilizzarlo. Come permettersi di provare compassione per colui che ha ideato lo sterminio di 6 milioni di uomini e provocato una guerra che ha portato 50 milioni di vittime? Umanizzare il male, nel personaggio che meglio lo ha incarnato nel secolo appena concluso, pare essere proprio l’obiettivo de La caduta, pellicola sugli ultimi giorni di vita di Adolf Hitler, giorni vissuti nel bunker di Berlino, dal quale comandava truppe inesistenti, ordinava suicidi ed esecuzioni per i traditori: “dopo il nazionalsocialismo non esisterà più nulla, tanto vale morire”, era il pensiero di tutti i suoi più fedeli affiliati.
Il film prodotto in Germania ha diviso in patria pubblico e critica e ciò sta accadendo anche nel resto del mondo, non tanto per la qualità dell’opera, che sembra più che altro una fiction televisiva di buona fattura, quanto per gli intenti e il risultato: provare compassione per Hitler, cercare di capirlo nella sua intimità ponendosi all’interno del bunker tra quelli che sono i suoi affetti e le sue ossessioni, è un progetto molto rischioso e ambizioso. Bruno Ganz è molto bravo, a tratti inquietante, ma è al limite della macchietta per l’eccessiva caricatura. Per il resto la storia è una serie di eventi visti attraverso l’occhio della segretaria del dittatore tedesco, ma con uno sguardo che non vuole dare giudizi di sorta, ponendosi soprattutto come osservatori, come se il regista il produttore (anche autore della sceneggiatura) si trovassero a realizzare un documentario. Ma il cinema assume punti di vista, esprime giudizi e prende posizioni, altrimenti non è tale. E forse è proprio questo il motivo per cui la caduta lascia una sorta di insoddisfazione.
Ci si trova comunque di fronte a un prodotto di buona fattura: due ore e mezzo che passano via velocemente tra fatti privati e vita militare. Storie diverse che però sembrano avere l’unico obiettivo di umanizzare i responsabili di una tragedia, ma senza scusarli, cercando di far vedere che i veri responsabili sono stati tutti quelli che hanno goduto di quella situazione, ovvero tutto il popolo tedesco: “non potevamo non vedere quello che stava succedendo, il fatto di non saperlo era solo una scusa per pulirci la coscienza” dichiara la stessa segretaria in un recente documentario. La caduta cerca di adottare questo punto di vista, ma il risultato è molto ambiguo.
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