“Perchè togliermi la speranza di avere un figlio?”
Laura ha avuto il primo figlio con l'inseminazione artificiale. Una "conquista" raggiunta al termine di un cammino difficile e doloroso
Laura è una giovane mamma. Il suo piccolo Francesco ( nome di fantasia) è una trottola, mai stanca, di 18 mesi. C’è un rapporto profondo che li lega, assolutamente normale tra una madre e un figlio. Ma per Laura quel bimbo è il "premio" fantastico di una conquista dolorosa e faticosa iniziata il giorno in cui la sua ginecologa le diagnosticò l’endometriosi (una malattia che spesso provoca infertilità o sterilità): «Da quella visita tornai a casa distrutta – ricorda Laura, a cui, per privacy, abbiamo omesso il cognome – Il sogno di una vita famigliare era distrutto. Non avevo il coraggio di affrontare mio marito: Matteo voleva un figlio e io non potevo darglielo. Gli dissi di lasciarmi, di rifarsi una vita. Ero finita…..».
Poi Laura incontrò nel web un forum di mamme, mammeonline.net: «Mi inserii in quel forum con la forza della disperazione e ricominciai a credere. Trovai l’energia e i consigli adatti per decidere di affrontare la lunga via dell’inseminazione artificiale».
Per Laura e il marito iniziò una fase estenuante di esami e controlli al Centro "Fons vitae" di Varese per verificare la mancanza di controindicazioni alla fecondazione artificiale.
Poi l’arrivo del gran momento, esattamente il terzo giorno del ciclo, Laura cominciò la stimolazione: «Dovevo farmi iniezioni di ormoni, una al giorno sulla pancia e ogni 48 ore dovevo recarmi al Centro per l’ecografia di controllo dello stato di maturazione dei follicoli. Fortunatamente, per me, il mio corpo rispose abbastanza sollecitamente alla stimolazione. All’undicesimo giorno avevo raggiunto la fase dell’ovulazione e il Centro decise l’ora in cui dovevo fare l’iniezione che doveva dare il via all’inseminazione. Entro 36 da quella puntura si doveva intervenire. Venne raccolto, due ore prima dell’inseminazione, il seme di mio marito, la biologa fece la "capacitazione dello sperma" scegliendo i migliori spermatozoi che, infine, con una cannula vennero iniettati in utero. Un intervento di cinque minuti, assolutamente indolore. Il dolore o, meglio, la tensione iniziò in quel preciso momento».
Per Laura furono undici giorni di "terrore", di attenzione ad ogni minimo segnale: «Ero in uno stato di agitazione continua, con sbalzi d’umore, lacrime sempre in agguato… Poi, all’undicesimo giorno, il segno atteso, confermato dal test: l’inseminazione era andata bene. Ora dovevo aspettare "solo" 9 mesi per scoppiare di gioia».
L’attesa, per Laura, avvene con le paure e i timori che ha ogni gestante, moltiplicata dalla terrore che, in caso di fallimento, avrebbe dovuto ricominciare la lunga "battaglia" ormonale: «Dopo nove mesi esatti nacque Francesco, 2,7 chili di peso, con un risultato di Apgar di 9 su 10 e 10 su 10. Un bimbo perfetto e vispo».
Ora Laura è alla ricerca del secondo figlio. La via è ancora quella difficile e "pesante" del bombardamento di ormoni: «Sono alla terza stimolazione e mi dò ancora tre possibilità di inseminazione artificiale. Se non dovesse andare a buon fine dovrò passare a quella in vitro».
Questo metodo implica, per la donna, innanzitutto una stimolazione ormonale "importante", cioè ad alto dosaggio, a cui segue il prelievo dei follicoli con un intrevento in anestesia totale. Tali follicoli vengono quindi messi in provetta e fecondati. Dopo cinque giorni si vede quanti embrioni si sono formati: «Prima della legge – spiega Laura – se vi erano a disposizione, per esempio, 6 embrioni, due venivano impiantati e gli altri crioconservati per riutilizzarli nel caso la fecondazione in vitro fallisse. La legge 40 ha abolito questa possibilità, imponendo la fecondazione di tre ovociti scelti a discrezione dal biologo, e l’impianto di tutti gli embrioni eventualmente formatisi; gli altri ovociti possono essere congelati
senza alcuna garanzia di sopravvivenza. Quindi, in caso di fallimento, si deve rifare tutto l’iter, mentre prima si poteva almeno saltare il passaggio della stimolazione ormonale e procedere direttamente all’impianto degli embrioni scongelati».
«Io credo che la gente ignori quale sia la questione. Si accusa chi fa la fecondazione assistita di ambire alla "razza pura" o di voler uccidere i bambini. Ma tutto ciò è assolutamente infondato. Io mi batto perchè mi sia riconosciuto il diritto personalissimo e di coppia di realizzare ciò che per altri è naturale: avere un figlio. Io sono convinta che non sarà una legge a impedire certe storture e brutture che oggi medici e scienziati senza scrupoli realizzano. Questa legge vuole costringere la donna a sentirsi "menomata"».
Se non dovesse riuscire con metodi naturali, Laura sa già che cercherà una clinica all’estero per fare la fecondazione in vitro: «Con la mia malattia, non posso permettermi di sopportare troppi bombardamenti ormonali, stimolazioni mensili continue. La possibilità di crioconservare è una tutela della salute della donna, nel rispetto del suo desiderio di maternità».
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