Il lago di Varese? Un vecchietto un po’ acciaccato
Lo stop deciso dalla Provincia alla terapia attuata per guarire lo specchio d'acqua varesino servirà a capire le sue possibilità di recupero
Correva l’anno 1953 quando il Lago di Varese cominciò a dare segni di malattia. Era uno stato naturale di invecchiamento di un bacino nato già "penalizzato" dalla sua conformazione geografica. Nel 1957 si registrò un grave stato di deterioramento legato all’anossia, la mancanza di ossigeno sul fondo provocato soprattutto nei mesi estivi dalla produzione di alghe.
Fu poi l’immissione smodata di fosforo, a causa degli scarichi industrali, ad accellerare il processo di "eutrofizzazione", e l’allarme ambientale conseguente.
Anni di discussioni e di tesi non riuscirono a partorire alcuna azione di recupero dello specchio d’acqua che, nel frattempo,era diventato agonizzante.
Nel 2000 la Provincia di Varese passò all’azione iniziando una terapia di recupero delle acque decidendo, innanzitutto di bloccare l’apporto di fosforo. Quindi si decise di ossigenare le acque profonde e, nel contempo, di aspirare le acque anossiche ( prive di ossigeno) del fondo. A distanza di tre anni di continua ossigenzazione e pompaggio, la stessa Provincia ha deciso di interrompere la cura e di verificare la bontà della terapia attuata.
«È un atto dovuto – spiega il professor Giuseppe Crosa, ricercatore dell’Università dell’Insubria, chiamato dalla Provincia di studiare la situazione – dopo un periodo congruo di un ciclo di terapia si deve verificare se c’è risposta e quale tipo di risposta».
La Provincia ha fissato un termine di un anno per fare gli accertamenti dovuti: si deve capire se l’ossigeno immesso sul fondo stia effettivamente risolvendo lo stato di anossia.
Il problema del lago di Varese è legato alla produzione di alghe, molto elevata nei medi estivi: le alghe bloccano la circolazione di ossigeno nell’acqua così negli strati più profondi il lago soffre perchè la vegetazione esaurisce le scorte.
«Un anno di stasi è assolutamente ragionevole e non vanifica l’attività svolta fino ad oggi – spiega Crosa – si deve capire quale recupero possa avere quel lago. La questione è delicata, inoltre, perchè ci si deve accordare sul termine "recupero". Il lago di Varese è un "vecchietto", un anziano un po’ malconcio che, tutt’al più, può recuperare un po’ di stabilità. Ma le sue caratteristiche non sono quelle del lago Maggiore o di quello di Garda. È un bacino piccolo, un po’ paludoso, a tratti maleodorante: caratteristiche fisiologiche. È il bello di questo specchio d’acqua. La sua china, oramai, è discendente, destinata ad esaurirsi in tempi "geografici" brevi. Non lo si deve uccidere, ma nemmeno disperarsi per la sua lenta agonia».
Dati alla mano, gli esperti valuteranno se il fondo del bacino sta dando segnali di ripresa: «Può anche succedere che sia lo stesso bacino ad innescare un processo di recupero, ad imboccare una strada positiva. Noi siamo chiamati proprio a vedere la risposta del lago a queste sollecitazioni. A gennaio si capirà cosa fare».
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