Il don e il muratore insieme nel Regno dei Cieli

Ieri sono morti due uomini ai quali ero affezionato: don Pasquale e Antonino. Non c’è irriverenza nel semplice appellativo di don che riservo a un arcivescovo che è stato il segretario di papa Montini: lo chiamava così un carissimo amico comune, Carletto, scomparso prematuramente, e io un giorno mi accodai nella confidenza che fu accettata benevolmente anche quando gli scrivevo.
Il nostro rapporto non era strettissimo, ma divenne più forte quando lasciai la direzione della “Prealpina”: don Pasquale mi scrisse una bellissima lettera e fece in modo di cogliere più occasioni per essermi vicino. Ne fui felice e le reciproche testimonianze e manifestazioni di stima diedero luogo a momenti di autentica serenità. Una bella storia, con un neo del quale mi vergogno. Infatti in vent’ anni dal mio addio alla Prealpina non ho mai avuto il coraggio di confessare al carissimo don che quelli del mio congedo furono per me giorni di festa.

Don Pasquale accompagnava sempre i suoi scritti con un dono, in genere libri su Paolo VI e le dediche, non rituali ma sentite, coinvolgevano sempre mia moglie. C’era una ragione: don Pasquale sapeva benissimo che sono un cristiano che tende alla vita comoda mentre mia moglie, non da bigotta, la religione la vive. Quando don Gilberto Donnini mi chiamò a collaborare a “Luce” mi arrivò un biglietto di gioiosa partecipazione, ma conobbi la franchezza di don Pasquale nel commento che mi inviò dopo aver letto un mio festoso articolo sull’acquisto da parte del Comune dell’ex seminario di Masnago. Le pungenti osservazioni avevano anche altri destinatari, ma capii che cosa volesse dire per un uomo di chiesa la perdita di una proprietà dove si erano formati numerosissimi sacerdoti.

Raffaele Cattaneo ieri ci ha inviato il suo ricordo dell’arcivescovo Macchi: lo conclude accennando all’anelito al paradiso che è stato una costante del grande varesino ministro di Dio. E che per tutti i cattolici rende meno doloroso l’addio alla vita. Dico sempre, pensando a me, che per i giornalisti nel migliore dei casi è previsto il purgatorio, ma come ergastolo.

In paradiso sono convinto che assieme a don Pasquale ci sia anche Antonino, muratore siciliano che il destino voleva essere certo di portarsi via dal momento che lo ha pesantemente afflitto con più malattie. 64 anni, una moglie e due figli stupendi, gli hanno dato nipoti eccezionali, un soldatino del Sud che ha vissuto con la dignità di pochi, che ha fatto del carattere mite e del senso del dovere il trampolino per la vita serena sua e della sua famiglia, per una crescita in termini di benessere che da tutti coloro che conoscono il piccolo clan viene riconosciuta come un giusto premio. Antonino era diventato più lombardo di noi, addirittura non era sempre entusiasta dei ritorni estivi in Sicilia, erano i nostri i suoi luoghi amati. Lui e i suoi cari sono stati e sono un esempio, sono un piccolo ma solido ingranaggio di questa Varese che da parte delle nuove leve non sempre riceve segnali positivi.
Lo ricordo con affetto e sono certo che don Pasquale abbia gradito la scelta di accostargli Antonino in questa mia testimonianza.

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Pubblicato il 06 Aprile 2006
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