Gioconda rubata, una favola storica con poco coraggio
Delusione per la fiction andata in onda lunedì sera su Canale 5 e ispirata alla storia vera di un veresino emigrato in Francia
La storia c’era, e anche bella. L’intreccio pure. Quello che ci si domanda è: perché banalizzare tutto puntando solo sulla storia d’amore? Lunedì sera è andato in onda il tv-movie realizzato da Mediaset dal titolo L’uomo che rubò la Gioconda, storia vera di un personaggio del 1911, Vincenzo Peruggia, originario di Dumenza (proprio nel Luinese), che decide di emigrare in Francia in cerca di fortuna. Emigrante in terra straniera, deriso, emarginato, trova comunque lavoro al Louvre di Parigi come manovale. Nel frattempo conosce una bella trapezzista, Aurore, una donna che per convenienza è l’amante di un vecchio antiquario. Peruggia e Aurore si innamorano e lui per dimostrarle il suo amore dopo un rifiuto di lei perché povero, decide di rubare il famoso quadro di Leonardo. Lo nasconde e poi, su sugerimento di Aurore, spinta dall’avido antiquario che ha scoperto tutto, Vincenzo torna in Italia per “donare” la Gioconda al Museo degli Uffizi di Firenze. Ma qui viene arrestato dalle forze dell’ordine, processato e condannato a 8 mesi di carcere, che non sconterà grazie all’intervento di Vittorio Emanuele III. Infatti, al processo, l’unica motivazione che viene data al furto è quella del patriottismo, restituire agli italiani un’opera sempre rimasta loro.
Ed è proprio questa la motivazione, il patriottismo, che, anche secondo l’accurato libro realizzato da Pietro Macchione, emerge dai documenti del tempo. Una motivazione non facile da rendere sullo schermo, per il delicato periodo storico, soprattutto italiano. Periodo, atmosfera, che non viene assolutamente mostrata nel film: la storia prende il via quando Peruggia decide di partire per Parigi per necessità, ma dell’Italia del tempo non si mostra nulla, solo che vi sono molti poveri. Basta.
Poi una volta a Parigi, la stessa situazione: quanche accenno a una fantomatica nascita della polizia scientifica e alla forte immigrazione in atto. Nient’altro.
Molto più facile, quindi, creare un Peruggia ingenuo (come probabilmente era nella realtà), ma romantico, come da clichè in questi casi nella fiction italiana. Tutta la lunga prima parte del film è dedicata all’impossibile storia d’amore tra Vincenzo e Aurore. Il furto della Gioconda si consuma solo nella seconda metà e qui prende il via la parte interessante e coinvolgente del film: la caccia al ladro, le ricerche del quadro, interrogatori e processi. Tutto questo, però, compare solo alla fine. E l’artifizio creato con la storia d’amore viene vanificato da una frase dell’avvocato difensore del Peruggia: «Non dica perché l’ha fatto, non dica niente, non dica di avere complici». Come se tutto fosse un grande complotto perché il vecchio antiquario potesse finalmente appropriarsi della Gioconda e far appendere al Louvre solo una copia.
Certo, l’ipotesi della cospirazione, la supposizione che la copia dell’opera di Leonardo esposta al museo pariginino sia solo un falso, è interessante. Peccato però che quasi tutta la narrazione venga affidata alla storia d’amore, dimenticando il patriottismo e la Storia. La seconda parte del film, infatti, è molto bella e ben costruita, ma questo continuo cadere nel melenso, nel polpettone sentimentale, è tipico della fiction e ha francamente stufato. Anche perché si corre spesso il rischio di banalizzare i sentimenti, soprattutto l’amore, solo perché si crede poco che possano anche esistere altre tipologie di sentimenti. Come il patriottismo.
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