Librerie aperte. Eligio Pontiggia lancia la sfida ai megastore

Librai dal 1894, i Pontiggia resistono alla globalizzazione del libro

I Pontiggia sono librai dal 1890. Il signor Eligio lo dice con un certo orgoglio, pronto a mostrare i documenti storici della Camera di Commercio di Milano e il giornale dei pagamenti fatti al signor Treves dal nonno Marco. Roba d’altri tempi, quando ancora si scriveva «librajo» in  bella calligrafia, quella piena di curve a arzigogoli, e si batteva la moneta sulla scrivania per vedere se era d’argento. Dopo oltre un secolo di gloriosa attività dell’omonima libreria in corso Aldo Moro, anche Eligio Pontiggia è costretto a fare i conti con la globalizzazione dei mercati, i megastore e le catene di franchising. Nonostante sia stato sempre all’avanguardia, tra i primi librai in Italia a dotarsi del sistema computerizzato avanzato (Libris) che consente analisi immediate, anche Eligio Pontiggia avverte la fatica dei nuovi tempi. 
Un suo illustre e storico collega, Aldo Veroni, ha  appena chiuso i battenti. Lui resiste.

Partiamo da qui, signor Eligio. Che cosa ha provato alla notizia della chiusura della libreria Veroni?
«Dispiacere, e non sono parole di circostanza. Con Aldo c’era una collaborazione vera. In 40 anni non c’è mai stato uno screzio. Io spesso gli mandavo clienti perché lui era specializzato nella scolastica e lui mi mandava i suoi quando non aveva i libri che i suoi clienti cercavano. Una concorrenza leale».

Le librerie chiudono, i librai si lamentano per il mercato asfittico, ma le iniziative sui libri, e non solo a Mantova, fanno numeri da capogiro. Dov’è il cortocircuito?
«È vero, le manifestazioni come Amor di libro a Varese, il Premio Chiara o Duemilalibri a Gallarate avvicinano la gente al libro, anche chi di solito in libreria non ci va. Ed è un bene, perché penso che in molte persone ci sia ancora un timore reverenziale nel varcare la soglia della libreria e nei confronti della cultura in genere».

Libri nei supermercati, nei megastore, insomma la grande distribuzione. Molti librai dicono che questo sia il vero male. È d’accordo?
«Diciamo che oggi subiamo una manovra a tenaglia: siamo schiacciati dalla grande distribuzione e dalle grandi catene. E poi c’è la colonizzazione dei franchising, come la Mondadori. La gente deve sapere che un supermercato tratta al massimo 1000 titoli. La libreria Pontiggia ne tratta 370 mila, con una media di 25 mila novità all’anno. Capisce che il paragone non regge sul fronte dei costi e dell’offerta. Le librerie offrono un servizio, sta qui la differenza».

Stefano Benni  dice che il timido, quello che ha un timore reverenziale, entra in libreria e chiede informazioni alla sagoma in cartone di Umberto Eco.
«Sì, succede così. A volte mi avvicino ad una persona solo per il gusto di consigliarla e il più delle volte si sottrae. Mi dispiace perché così la funzione del libraio viene meno e per me è difficile perché io la mia professione la concepisco come un servizio. Ma c’è ancora chi ha un certo gusto e allora viene dal libraio».

Oggi si pubblica di tutto e di più, tra cui molta porcheria. Anche questo è un problema per il libraio classico?
«
In parte sì. Ma solo in parte»

Che cosa vuol dire?
«Facciamo un esempio: il “Codice da Vinci” è un libro facile, ha una buona trama, ma non è un capolavoro di letteratura. Eppure è grazie a Dan Brown che io posso tenere sui miei scaffali libri ed editori prestigiosi, dal punto di vista culturale e letterario, ma con i quali lavoro in perdita. Però devo tenerli, il loro valore aggiunto è notevole. E’ tutto lì il senso di fare questo lavoro. Io campo della completezza del servizio».

I suoi colleghi nel resto d’Italia come vanno?
«Se parliamo di regioni direi che noi siamo fortunati perché la Lombardia da sola assorbe il 23 per cento del mercato nazionale».

Si dice che l’ex presidente del Senato, Giovanni Spadolini, quando era a Varese venisse sempre nella sua libreria . È vero?
«Verissimo. Le dirò di più. Un giorno era ad un convegno alle Ville Ponti, si era stancato e aveva deciso di andare prima al Caffè Zamberletti e poi da me in libreria. Mi vidi arrivare la scorta e subito dopo lui che si aggirava tra gli scaffali, mi fece i complimenti per la ricchezza di titoli. C’erano anche i suoi pubblicati da Le Monnier. Detto da lui, che era un bibliofilo di rango, era un gran complimento. È sempre ritornato. E poi ricordo Gina Lagorio. Arrivò un giorno di dicembre, esattamente il 29 dicembre del 1989, lo stesso giorno in cui io trovai l’atto di fondazione della libreria, datato 29 dicembre 1889. Quando lo dissi alla Lagorio, lei  mi rispose: "E’ una storia bellissima. Bisogna che le scriva un racconto"».

Tornando alla crisi. C’è un rimedio a questa situazione?
« (Ci pensa un po’ ndr) Se la Libreria Pontiggia fosse una grande tenda, in piazza, senza porte da attraversare, magari la gente la frequenterebbe di più. Chissà, forse. Certamente il clima di questi tempi non lo consente».

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Pubblicato il 24 Ottobre 2006
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