Storia del nazista che si “suicidò” due volte e morì nel suo letto
"Quella che minacciò Busto dopo il 25 aprile non era la colonna Stamm" rivela l'ex partigiano Mario Colombo; alla base ricerche e documenti che squarcerebbero un velo di inganni ed equivoci
"La colonna Stamm? A Busto non arrivò mai, è ora di raccontare tutta la storia". A dichiararlo è Mario Colombo, ex partigiano che militò nel raggruppamento cattolico Alfredo Di Dio. Colombo ha reperito nuovi documenti utili a fare luce sulle vicende caotiche della Liberazione. Per decenni si è ripetuto che Busto già libera fu messa in pericolo dall’arrivo della colonna guidata dal capitano delle SS Ludwig Stamm (nella foto), famigerato per le feroci repressioni antipartigiane compiute in Piemonte. Si è raccontato di come i partigiani insorti abbiano bloccato la colonna fuori dalla città, in direzione di Lonate, fino al suicidio dell’ufficiale nazista. In realtà, spiega Colombo, le cose sono andate in modo un po’ diverso; ci fu sì una colonna tedesca bloccata a Busto, ma secondo le carte in possesso di Colombo, non fu Stamm a morire con una pallottola in testa. A Novara i ricercatori del locale istituto storico della Resistenza lo avevano realizzato già nel 1970, proprio quando si consolidava la vulgata bustocca. E mentre nelle scuole ancora si racconta – in buona fede – la versione "ufficiale" dei fatti, Mario Colombo lancia il suo sasso nello stagno.
Stamm non arrivò mai in vista di Busto; la famosa colonna arrivata da Lonate era in realtà composta non dalle temute SS, ma da circa 600 soldati appiedati della Luftwaffe, l’aviazione nazista, comandati dal colonnello Hans Smaller, che, lui sì, si suicidò. Peraltro, l’ufficiale avrebbe avuto una divisa dell’aviazione, e non delle SS, fa notare Colombo. I suoi uomini, attaccati presso Turbigo dai partigiani, si erano in parte sbandati, dirigendosi su Busto dove furono disarmati dopo tese trattative, e in seguito internati. La "vera" colonna Stamm sarebbe invece stata bloccata
presso Novara, dove si "arrese" ai partigiani consegnando le sole armi
pesanti, a
condizione di essere poi affidata agli Alleati, che garantivano il
rispetto della Convenzione di Ginevra. In pratica, un accordo di "quieto vivere"
come se ne videro tanti negli ultimi giorni di caos: ben pochi volevano
rimetterci la buccia proprio ora che la guerra era agli sgoccioli, nè
si voleva dare ai nazisti la scusa di compiere ulteriori stragi.
Il capitano Stamm, mentre era prigioniero a Novara, con un trucco
approfittò del suicidio di un altro ufficiale, il colonnello Buch,
assumendone l’identità per poi essere internato a Coltano (Pisa) e
Verona prima di sparire dalla circolazione – ormai era"ufficialmente morto". "Suicida" due volte:
a Novara, e per la versione ufficiale bustocca a Busto. Secondo quanto
riporterebbero i documenti scovati da Colombo e testimonianze anche in
opere recenti, nel 1954 Stamm ricomparve, come niente fosse,
nello stesso albergo di Baveno dove aveva a lungo tenuto il suo
temutissimo comando di compagnia. Il proprietario lo riconobbe subito
ma non lo denunciò; gli disse invece di cambiare aria alla svelta, e
quello se ne andò la mattina seguente con un’auto targata Firenze (era
stato visto inoltre in quel torno d’anni in Toscana, aggiunge Colombo).
"Da ricerche fatte non solo da me, ma da storici professionisti, emerge che il capitano Stamm morì nel suo letto nel 1986,
nella provincia argentina di Entre Rios" continua Mario Colombo. Nel
poco invidiabile stato di servizio dell’ufficiale SS figuravano la
presenza in Boemia-Moravia nel 1942, la partecipazione al raid del 18 ottobre 1943 nel Ghetto di Roma,
che "fruttò" la cattura di mille ebrei di cui pochissimi tornarono da
Auschwitz; inoltre rastrellamenti antipartigiani fra Umbria e Marche e
infine in Ossola. Da qui Stamm
si ritirò il 25 aprile 1945 in compagnia di reparti fascisti guidati da
un ufficiale che sarebbe poi diventato senatore dell’MSI e sindaco
della sua città. Fino a Novara, e all’avvio della tragicommedia degli
equivoci.
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