L’elogio della lentezza di Dante Isella
Il filologo ha ricevuto il Premio Chiara alla carriera. Una cerimonia sentita e solenne, una ritrovata unità in nome dell'autorevolezza
Con il suo volto ieratico. Con la solennità delle sue parole. Con le sue risposte sferzanti, precise, lucide. Dante Isella ha dato un senso compiuto al Premio Chiara 2007. A lui è stato assegnato il premio alla carriera, magistralmente ripercorsa, durante la cerimonia di Villa Recalcati, dallo storico dell’arte Giovanni Agosti.
È stato un ritrovarsi per molte persone legate affettivamente e professionalmente a Dante Isella, a partire dalla pittrice Marinellia Pirelli, che per l’occasione ha donato allo studioso una sua opera. Per la prima volta si è respirato un senso di unità, di condivisione rispetto a questo premio e, perché no, anche di vera partecipazione.
Villa Recalcati era piena di gente. Gli organizzatori, Bambi Lazzati e Romano Oldrini, soddisfatti e sereni, i politici intimiditi e composti, hanno usato parole misurate. Insomma, l’autorevolezza di Isella ha messo d’accordo tutti.
Nonostante fosse il festeggiato, il filologo non ha cercato di blandire nessuno, schietto come sempre. Cosa avrebbe detto Piero Chiara di questo premio? «Come faccio a dirlo, non sono un indovino. Penso che sarebbe stato contento e mi avrebbe chiesto quanto avevo preso. Chiara era molto attaccato ai soldi». E ancora: «Chiara era un grande narratore orale, ascoltarlo era un piacere. Sapeva osservare e rappresentare la realta deformandola, ma non inventava perché non ne era capace. Era uno scrittore da racconto lungo o da romanzo breve. Il suo capolavoro? “La spartizione”, ma aveva fatto un finale che non poteva funzionare e così gliel’ho suggerito io».
Secondo Isella, Piero Chiara non ha eredi tra gli scrittori contemporanei e «nell’era della globalizzazione, la provincia e le radici hanno ancora un valore perché individuano la nostra identità».
Una stoccatina agli svizzeri non è mancata, soprattutto quando gli è stato chiesto da una giornalista della Rtsi che cosa ricordasse dell’esperienza di insegnamento a Zurigo: «Al Politecnico è stato un bel periodo. La cattedra di italianistica attirava molti uditori, era prestigiosa. Se l’hanno chiusa è colpa di voi ticinesi, avete voluto creare le vostre università e loro vi hanno tolto la cattedra».
Nell’epoca in cui tutto è velocità, fretta e consumo acritico, Isella ha tenuto una lezione magistrale facendo l’elogio della lentezza: «Fa anche parte del mio gusto non scrivere più nulla che porti alla disperazione di gente frettolosa. La filologia è lesinare tempo, divenire silenzioso, divenire lento. Non raggiunge nulla se non lo raggiunge lento. Leggere bene è leggere lentamente, in profondità, lasciando porte aperte con dita e occhi delicati».
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