Foibe, buchi aperti nella storia d’Italia
Alla presentazione del libro di Alessandra Kersevan “Operazione Foibe” acceso dibattito con la presentazione delle rispettive posizioni in campo
Settimane di scontro tra maggioranza e opposizione, a suon di interrogazioni in consiglio comunale e comunicati di risposta. Con premesse del genere, l’esito era scontato: la presentazione del libro “Operazione Foibe” a cura della storica Alessandra Kersevan si trasforma (anche) in un acceso dibattito. Con tanto di promessa di querela ai danni della studiosa monfalconese.
Una serata promossa dalla amministrazione comunale nel quadro della stagione culturale. Ma anche una occasione per celebrare il “Giorno del Ricordo”, facendo memoria degli avvenimenti accaduti al confine orientale a cavallo della seconda guerra mondiale. «La storia a Trieste non inizia il 1 maggio 1945, inizia molto prima. Sembra una affermazione ovvia, ma spesso, nell’affrontare la questione delle foibe si dimentica tutto il contesto», esordisce Alessandra Kersevan, studiosa che per anni ha frequentato gli archivi di stato di Udine, Trieste e Gorizia, ma anche l’Archivio Centrale dello Stato, quello dell’Esercito Italiano e gli archivi sloveni. Un contesto fatto di squadrismo antislavo nel Ventennio, di snazionalizzazione delle minoranze, ma soprattutto di operazioni antipartigiane condotte con metodi terroristici e con deportazioni, dopo l’annessione di parte della Slovenia nel 1942. In campi come quello di Arbe, oggi splendida località turistica dalmata, sessant’anni fa inferno per diecimila sloveni e croati. Le violenze delle foibe quindi come conseguenza terribile di una durissima occupazione militare da parte dell’esercito italiano.
Una parte del pubblico non sembra gradire l’impostazione della studiosa, anche se la prima contestazione parte quando la Kersevan espone le cifre relative agli infoibati che emergono dai documenti, spesso di fonte tedesca o alleata. Cinquecento a Trieste, seicento a Gorizia, duecento in Istria, nel periodo successivo all’8 settembre e in quello successivo alla Liberazione. Assai meno di quelli che spesso vengono indicati da studi meno rigorosi o da una certa parte di memorialistica. Al termine dell’esposizione della storica, l’intervento più duro è quello di Giuseppe D’Aversa, consigliere dell’Opera nazionale dei caduti senza croce: «Non potete fare la storia solo dal vostro punto di vista» attacca, riferendosi probabilmente a sloveni e croati, anche se sta parlando con una cittadina italiana. Poi cita testimonianze di militari del Regio Esercito, che la Kersevan però sostiene siano state smentite da tempo. A questo punto D’Aversa abbandona la sala, promettendo una querela ai danni della studiosa. Più pacato l’intervento di una figlia di esuli istriani: «Io non metto in dubbio quello che è stato detto. Però avrei voluto una controparte che potesse dialogare alla pari con lei». E anche se i toni non sono sempre stati composti, alla fine della serata la Kersevan si intrattiene in una pacata discussione con alcuni giovani di AN, tra i quali Umberto Polato, consigliere comunale di Cassano Magnago.
«La stessa legge istitutiva del “Giorno del Ricordo” parla di una necessità di tramandare la memoria delle complesse vicende del confine orientale – ha chiosato la Kersevan -. Ma di questa complessità non si parla quasi mai». E in effetti, se oggi le foibe sono un fenomeno conosciuto a livello di grande pubblico, la condotta dell’esercito italiano in Istria, Dalmazia e Slovenia è ancora quasi sconosciuto. E i nomi del generale Roatta o dei campi di concentramento di Gonars e Arbe non dicono nulla, con buona pace delle approfondite ricerche storiche, note da decenni: «Credo che le foibe siano un fenomeno buio, che le vittime siano cinquecento o diecimila. Qualunque uccisione di esseri umani è un fatto tragico. Paragonare le foibe alla Shoah è però una operazione irriguardosa», dice dal canto suo l’assessore alla Cultura Marisa Mazzuchelli, riecheggiando anche le parole del sindaco Vittorio Solanti che aveva definito le foibe “una tragedia”. Sperando che dal riconoscimento delle rispettive sofferenze nasca una riconciliazione tra i popoli d’Europa (formalmente unita). Perché ancora oggi, in questa come in altre vicende, vale l’amara constatazione di un poeta scomparso: “Per tutti il dolore degli altri è dolore a metà”.
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