Tagli alle università private: «Troveremo soluzioni alternative»
L'opinione di Andrea Taroni, rettore della Liuc sulla Legge Gelmini e sulle proteste di questi giorni
«I tagli riguardano tutte le università, quindi anche quelle private ma le ripercussioni, nel nostro caso, saranno minori. Si parla di una riduzione consistente dei contributi da parte dello Stato, passiamo dai 125 milioni di euro attuali a 80 milioni di euro. Ma troveremo altre soluzioni per ripianare il bilancio».
Parola del rettore dell’Università Carlo Cattaneo Andrea Taroni (nella foto) che commenta, da un osservatorio tutto sommato "privilegiato", il momento incandescente che sta attraversando la scuola italiana.
«Il ministero contribuisce a finanziare le università private ed è quindi evidente che nell’ottica di una riduzione dei contributi anche i nostri istituti vengano "colpiti". Ma a differenza delle università statali noi possiamo contare sulle entrare che derivano dalle tasse universitarie. Certo, dovremo pensare a soluzioni alternative per non rischiare l’affanno».
Aumento delle tasse universitarie? Il professor Taroni non prende questa ipotesi come una delle strade praticabili. «No, non direi. Potremmo invece incrementare il numero degli studenti anche se va un po’ contro la nostra “politica”: la qualità della didattica spesso risente dell’alto numero di universitari. E noi vogliamo che la nostra offerta resti alta».
Gli studenti scendono in piazza, i professori anche. Un modo per manifestare il proprio dissenso nei confronti di una legge, quella della Gelmini, ritenuta mortificante e penalizzante. Ma quale può essere il risultato? Qual è l’esito di una protesta di piazza? E’ condivisibile?
«Esprimo un parere personale – dice il rettore della Liuc – i tagli non possono mai essere ben accetti, né dagli operatori né dagli utenti; gli studenti sono forse quelli più legittimati a protestare.
I motivi della protesta sono due: uno riguarda i finanziamenti, l’altro il malcontento per il cattivo funzionamento dell’università. Ma la visione non è completamente veritiera: se si parla di concorsi truccati o nepotismo non significa che la situazione sia generalizzata e sia sempre ovunque così.
Ben diverso il discorso dei corsi universitari la cifra la dice già lunga, 5500 corsi di laurea sono un numero assurdo. Riportarlo ad un livello accettabile, 1500-2000 è un dovere. Certo al ridimensionamento bisognerebbe arrivare senza conflitti: Università e ministero dovrebbero trovare un’intesa, un dialogo. Agli atenei bisognerebbe chiedere un atteggiamento responsabile, che collaborino nella scelta dei corsi di laurea da non finanziare più.
Poi se questo non succede, allora c’è poco da fare: il ministero non può che fare quello che sta facendo».
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