Adamoli: “Prima mi arrestarono e poi mi chiesero scusa”
Sedici anni fa per il consigliere regionale Giuseppe Adamoli si spalancarono le porte del carcere di San Vittore. L'onda di tangentopoli lo aveva travolto ingiustamente
Giuseppe Adamoli la data se la ricorda bene. Era il 24 novembre 1992. Quel giorno per lui si spalancorono le porte del carcere di San Vittore. L’onda di tangentopoli aveva risucchiato anche lui. «Fu un provvedimento per bloccare la nuova giunta regionale, il mio capolavoro politico in un momento difficilissimo per le istituzioni. Ero anche nel pieno della mia ascesa politica che in questo modo fu stoppata. Ero in cella con un tossicodipendente e un topolino e vi rimasi per tre giorni, durante i quali scrissi, con mano tremante, una lettera in cui invitavo i cittadini a non perdere la speranza e la fiducia nella politica. Due anni dopo sono stato assolto e, primo caso in Italia, la procura ha rinunciato al ricorso in appello. Mi hanno chiesto scusa».
Nel 1992 Adamoli si dimise dal Consiglio Regionale per rientrarvi 8 anni dopo a testa alta. Durante il processo, infatti, si rifiutò di entrare in parlamento sotto l’ala di Forza Italia.
Oggi Adamoli è consigliere regionale del Pd e presidente della Commissione statuto.
Di seguito pubblichiamo la storia raccontata nel suo blog.
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“Parlaci di Di Pietro”, mi ha esortato più volte una persona che sul blog si firma “un tuo amico fedele”. Lo faccio ma mi devo prendere più spazio di quello abituale.
Il Di Pietro magistrato ha fatto tante cose giuste e alcune assolutamente sbagliate. Ma questo capita a chiunque lavori freneticamente nelle emergenze. La mia critica è un’altra ed è duplice. Primo, la Magistratura avrebbe dovuto intervenire ben prima del 1992 (era in possesso di chiare notizie di reato come abbiamo saputo in seguito) quando avrebbe potuto usare il bisturi. Si è mossa invece in ritardo sulla spinta della piazza, che non è mai buona consigliera in materia di giustizia, ed ha sparato cannonate qualche volta alla cieca, come hanno dimostrato le sentenze. Se la credibilità della Magistratura è scesa in picchiata è soprattutto per questa ragione e non solo per gli attacchi forsennati e spesso strumentali di Berlusconi. Secondo, il Di Pietro che da pubblico ministero recita il ruolo di “tribuno della plebe” è agli antipodi di un Ordine Giudiziario serio e rigoroso che lavora sulle prove e non sui sentimenti populistici che attraversano il Paese.
Quanto alla mia vicenda personale potrei scrivere un libro e infatti me l’avevano commissionato con il titolo “Tangentopoli vista dal palazzo”. Ho rifiutato quando è risultato evidente che, nella forma di una lunghissima intervista, avrei dovuto dare giudizi morali su persone che avevo conosciuto soprattutto a Milano. Ricordo solo che dopo l’assoluzione piena in primo grado (21.12.1994), anno nel quale furoreggiava tangentopoli, la Procura di Milano non fece appello (primo caso in Italia) e Di Pietro di fatto si scusò. Poi per alcuni anni quando mi vedeva si metteva le mani nei capelli ammettendo il suo errore. Da questo punto di vista Di Pietro si è dimostrato un uomo e gliene ho dato atto.
Le mie dimissioni immediate ed irrevocabili dal Consiglio Regionale (sono rientrato in Regione nel 2000, otto anni dopo), dove ero Presidente del gruppo di maggioranza della DC, hanno praticamente interrotto la mia esperienza politica nel momento dell’ascesa più brillante. Tre giorni prima avevo presentato, come primo firmatario, il programma della nuova Giunta Regionale (ciò che restava del Centrosinistra falcidiato dagli arresti, più metà PC) che tutti consideravano il mio capolavoro politico. Ricordo anche che durante e dopo il processo rifiutai la proposta di entrare in Parlamento (Camera o Senato, a mia scelta) fattami da Forza Italia.
Il Di Pietro politico mi ha francamente sorpreso ma non perché abbia deciso di fare politica. Gianni Spartà, giornalista di punta della Prealpina, annotava in una intervista come io considerassi questo fatto del tutto prevedibile dopo il gesto clamoroso e demagogico di togliersi la toga in Tribunale. La mia sorpresa è stata un’altra. Avendolo scrutato da vicino, dal ’92 in poi, lo consideravo uomo di destra. “Law and Order” poteva essere il suo manifesto politico. O, se volete, il più italiano “Patria, Chiesa e famiglia”. Invece, in odio a Berlusconi, lo abbiamo trovato nel centrosinistra, oggi addirittura lesto a rincorrere lo spazio lasciato libero in Parlamento da Rifondazione e soci. Ma che ci azzecca con questi partiti? Per usare il suo linguaggio.
Credo che dovremo abituarci ad altre sorprese in futuro. Ormai è personaggio politico di primo piano e non vorrà certo spogliarsi da questa veste “solo” per questioni di coerenza.
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