L’Italia e i suoi lavoratori: una storia raccontata dal cinema

L’Archivio del Cinema Industriale ha festeggiato i dieci anni di attività. Il maestro Ermanno Olmi: “Bisogna ridare dignità al lavoro”

La catena di montaggio, la fabbrica come un “castello misterioso”, i fiori che i minatori mettevano all’immagine di Santa Barbara. Sono queste alcune delle testimonianze preziose “conservate” nei tanti documentari industriali realizzati nei decenni passati. Materiali che fortunatamente non sono andati persi grazie anche all’opera dell’Archivio del Cinema Industriale e della Comunicazione d’Impresa fondato nel dicembre del 1998 dall’Università Carlo Cattaneo-LIUC e da Confindustria. Dieci anni di attività che martedì 18 novembre hanno avuto degna celebrazione con il convegno“Il cinema, l’industria, la storia” organizzato alla Liuc. Ospiti d’onore insieme ai vertici dell’università e dell’Archivio, il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e il regista Ermanno Olmi che è intervenuto in video.
«O
ggi constatiamo il successo di un’iniziativa che nasce da un’idea brillante – ha esordito il presidente della Liuc, Paolo Lamberti (nella foto, al centro) (assente giustificato il rettore Andrea Taroni per motivi di salute) -. Voglio ringraziare tutti coloro che hanno permesso di raggiungere questo traguardo e gli obiettivi di questo Archivio, ovvero conservare la memoria di un pezzo importante della nostra storia industriale non solo attraverso dati, ma immagini, manifesti, registri e tanti altri materiali».
Il cinema industriale è infatti un genere cinematografico ibrido, a cavallo tra documentario tecnico e comunicazione pubblicitaria, realizzato sia con obiettivi artistici e ambizioni culturali, sia per scopi pratici di un’impresa. Si tratta quindi di filmati per la promozione di un prodotto o un marchio, per la formazione delle maestranze o la divulgazione scientifico-tecnica.
Una risorsa, secondo la direttrice dell’Archivio Anna Maria Falchero (nella foto), ancora più importante se si pensa che è “in rete”. «Gli archivi delle imprese, quelli privati e i cataloghi sono difficilmente fruibili. È in formato digitale e su internet che invece trovano la giusta diffusione». L’Archivio infatti a oggi vanta 800 titoli, tutti acquisiti su supporto digitale, e l’obiettivo è quello di digitalizzarne molti altri. «Non si tratta però solo di filmati sull’industria – puntualizza Alessadro Laterza (nella foto, secondo da destra), presidente della Commissione Cultura Confindustria -, ma di documenti che ci permettono di ricostruire la nostra storia dal punto di vista economico, sociale e culturale».

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Intervallati proprio dalla proiezione di alcuni filmati – realizzati da registi come Ermanno Olmi, Michelangelo Antonioni, Luciano Emmer e Giovani Cecchinato – i relatori hanno poi ripercorso gli anni d’oro del documentario industriale con particolare attenzione al periodo di maggior fortuna per questo genere ovvero il secondo dopoguerra. Il compito di rievocare il “boom economico” è toccato al presidente dell’Archivio, Valerio Castronovo (nella foto, primo da sinistra). «Cosa erano quegli anni? Nel ’45 l’Italia era un paese alla fame, ma nel 1954 l’inglese “Guardian” ha parlato di miracolo economico. La manodopera a basso costo, le innovazioni tecnologiche e altri elementi hanno favorito questa eccezionale crescita economica trainata da due generazioni di italiani che speravano così di riscattarsi e di garantire un futuro migliore ai propri figli. È il periodo della grande industria privata e delle partecipazioni statali, Iri e Eni. Ma è anche il momento delle grandi contraddizioni fra Nord e Sud, della crescita convulsa e dello sviluppo a briglie sciolte. E alla fine degli anni Sessanta, tutti i nodi sono venuti al pettine». Un periodo complesso quindi che, secondo il critico cinematografico del Corriere della sera Paolo Mereghetti (nella foto, primo da destra), il cinema italiano non ha saputo raccontare. «A questa mancanza però ha saputo sopperire il documentario industriale. Oggi questo tipo di cinema è molto criticato perché non “vede” i rischi dell’azione dell’uomo sulla natura. È vero, in questi filmati c’era l’esaltazione del “fare umano”, ma in quegli anni era importante mostrare questi sforzi anche in termini propagandistici. Forse risultano ingenui, ma mettono al centro il lavoro dell’uomo, mentre il resto del cinema non lo faceva. È un peccato per il cinema italiano aver dimenticato questo genere: non è solo colpa dell’arrivo della Tv, ma anche della nostra mentalità».

Un ruolo, quello del documentario industriale, che anche il maestro Ermanno Olmi ha ribadito nel suo contributo video. È suo uno dei filmati trasmessi durante il convegno e realizzato in collaborazione con Pier Palo Pasolini per Edison “ Manon: finestra 2” che racconta la vita degli operai della centrale Edison sull’Adamello.  «Durante il boom economico – racconta Olmi a Vincenzo Mollica, giornalista della Rai, che lo ha intervistato nella sua casa sull’altipiano di Asiago – le industrie avevano bisogno di farsi conoscere, di far vedere la loro immagine. Avevano bisogno di mostrare gli individui, gli uomini e le donne che lavoravano. È così che doveva e che dovrebbe essere conosciuto il lavoro. Oggi questo genere cinematografico mi sembra scomparso, mentre avrebbe bisogno di essere riscoperto. Tanti grandi industriali di un tempo sono nati come artigiani ed è attraverso il modello artigianale che si può ridare dignità al lavoro». Ma quanto è servita questa esperienza, chiede Mollica, per i film che ha realizzato dopo? «Per me è stata una scuola di onestà. In un documentario non puoi barare e non lo devi fare neanche nella fiction. Il cinema può essere invece un grande e gradevole tradimento. Per quanto mi riguarda, spero di non aver mai tradito in modo grave».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 18 Novembre 2008
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