“Nazionalizzare le banche per uscire dalla crisi”

Antonio Foglia, direttore della Banca del Ceresio, ha tenuto una lezione agli studenti dell'Insubria: «Studiare la storia della finanza per non ripetere gli stessi errori»

«Quella che stiamo attraversando è la peggiore crisi finanziaria degli ultimi settant’anni. È un evento che ha messo in dubbio gli ultimi cinquant’anni di studi della finanza e che ora apre molti nuovi campi per la ricerca». Parla da osservatore ma anche da imprenditore del settore bancario Antonio Foglia, il direttore della Banca del Ceresio, gruppo bancario di Lugano che fa capo alla sua famiglia (da generazioni nel mondo della finanza, il nonno di Antonio fu presidente della Borsa di Milano). Ospite della facoltà di economia dell’Università dell’Insubria di Varese è salito in cattedra per raccontare "da dentro" i meccanismi che hanno scatenato la crisi finanziaria ma anche le sue ricette per uscirne, o almeno per reagire.

Punto primo: la crisi dei subprime, i prestiti concessi dalle banche americane a debitori "rischiosi" che sono spesso indicati tra le principali cause dei dissesti. «Occorre chiedersi quanto ha pesato effettivamente questo sistema – osserva Foglia -. Nella peggiore delle ipotesi la metà dei mutui concessi non andrà a buon fine. Il che si traduce in una perdita di circa 500 miliardi di dollari. Una giornata storta in borsa brucia la stessa somma».
Che cosa è successo quindi, come si è innescata la crisi? «Entra in gioco il castello di derivati costruiti sui subprime e un sistema bancario internazionale troppo esposto al rischio. L’insolvenza di alcune banche ha fatto traboccare il vaso».

Foglia dirige una banca che si occupa prevalentemente di gestione patrimoniale e che è tra gli investitori storici del settore degli hedge funds. Dalla sua posizione ha colto molti segnali di cambiamento partendo dallo studio della struttura dei mercati. «La stragrande maggioranza dell’intermediazione finanziaria – spiega – avviene su mercati non regolamentati in cui poche grandi banche fungono da market-makers. L’intermediazione su questi mercati (over the counter) è concentrata su una dozzina di grandi banche, una delle quali è controparte dell’80 per cento circa delle transazioni. Si tratta dei “too big to fail”, che in gergo significa istituti troppo cruciali per essere lasciati fallire. Questo spiega il perchè il costo per l’accesso al credito per queste banche sia  inferiore a quello di altri istituti più piccoli che si trovano a dover pagare di più indipendentemente dalla loro efficienza e dai loro bilanci. Mentre sul mercato azionario ci sono tanti operatori, nei mercati finanziari globali ci sono una dozzina di banche che determinano le transazioni e influenzano le regole. Da un punto di vista strutturale il mercato finanziario rappresenta un’architettura “a perno e raggiera” ci sono cioè pochi perni a cui tutti fanno riferimento. In un mercato regolamentato invece la struttura è a "rete da pesca", se saltano uno o due nodi non importa».

Questo è lo scenario in cui la crisi si è sviluppata ma non si può individuare un responsabile della crisi, ci sono soggetti che non hanno sorvegliato, altri che non hanno colto dei segnali del mercato e altri ancora che si sono esposti più di quanto avrebbero potuto. «Anche la parte accademica ha delle responsabilità – aggiunge Foglia -. L’attuale generazione di operatori e regolatori è stata educata con la moderna teoria finanziaria ed è responsabile della peggiore crisi degli ultimi decenni. La carenza negli studi della storia della finanza ha fatto ignorare alcuni campanelli d’allarme come quelli del 1987 e del 1998. Il crash di borsa del 1987 ad esempio era dovuto al "portfolio insurance" che prevedeva la vendita in automatico di titoli quando il mercato scendeva. Questi aggiustamenti che derivano da modelli teorici possono funzionare finchè ad attuarli sono in pochi ma che producono effetti devastanti quando sono applicati da troppi soggetti. Questo dovrebbe essere un insegnamento per chi studia i modelli e ne deve necessariamente considerare gli effetti, in quel caso non erano stati considerati. Ci sono due personaggi di spicco – Bob Rubin che nel 1998 era ministero del tesoro americano e Alan Greenspan, per anni a capo della Federal Reserve – che hanno scritto due libri raccontando la loro esperienza tra i posti chiave dell’economia e che hanno solo brevemente accennato alla crisi del 1998». 

E ora, come valuta la situazione? «Come un grande incendio che i pompieri stanno cercando di spegnere. Le banche avrebbero bisogno di un capitale maggiore di quattro volte rispetto a quello che avevano all’inizio della crisi e sono molto indietro nel processo di ricapitalizzazione. Come ricapitalizzare? Ho visto applicare misure bizzarre e in ordine sparso. Io sono un liberista ma in questo momento penso che sia necessaria una nazionalizzazione delle banche per rimediare al pasticcio che è stato creato. Il credito deve continuare a circolare. Non possiamo permetterci di trascinare nel tempo questo problema che rischia di danneggiare imprese che non c’entrano con i problemi della finanza».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 15 Gennaio 2009
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