Nuove povertà fra carità e percorsi di autonomia
Importanti e forti testimonianze del quotidiano nella serata organizzata dal PD presso la biblioteca civica: a Milano come a Castellanza e Legnano
Esperienze di carità o di rilancio sociale, di accoglienza e convivenza nelle regole e nella fratellanza. Importante la serata organizzata dal PD di Castellanza presso la Biblioteca civica, più di quanto non dicessero le poche decine di spettatori che hanno sfidato strade salate e marciapiedi ghiacciati. Importante per il livello e la varietà delle esperienze raccontate, dalla grande Milano alle articolazioni locali della megalopoli padana, come Castellanza o Legnano, che partecipano di problemi largamente comuni. "Il povero, uno di noi" era il titolo scelto per l’incontro. Don Massimo Mapelli, responsabile dell’area accoglienza presso la Casa della Carità a Milano (presieduta da don Virginio Colmegna), Giorgio Colombo, responsabile della Caritas San Giulio a Castellanza, e Paolo Evalli, coordinatore della Casa della Carità Santa Teresa di Legnano, hanno esposto le varie sfaccettature del mondo della cosiddetta marginalità e di chi se ne occupa, coordinati dal giornalista Saverio Clementi, ex direttore del "Luce".
Forte, polemica e convinta l’opinione di don Massimo: «La sicurezza si fa con l’accoglienza, non certo buttando per strada i minori stranieri, o i diciottenni perchè ormai sono maggiorennenni, assurdo anche economicamente dopo aver speso fior di cifre per mantenerli in affidamento condannarli a un futuro da clandestini…» L’obiettivo chiave della Casa della Carità milanese è il percorso di autonomia per le persone, in modo da portare dall’assistenza all’indipendenza. Tutti, anche i più emarginati in assoluto, come i rom, sempre discriminati – don Massimo ricorda con sdegno («I rom rendono molto a chi vuole accaparrarsi consenso») l’incendio della tendopoli di Opera in cui proprio la Casa della Carità ne aveva sistemato un gruppo a suo tempo sgomberato da Milano.
Per il rilancio e l’autonomia, il lavoro, nascono le cooperative dal seno stesso della Casa della Carità, una grande struttura che impiega in maggioranza personale retribuito, e costando tre milioni l’anno conta sulla generosità di fondazioni e simili enti a suo tempo "invitate" dal cardinal Martini e che fin qui non hanno tradito. Le coop hanno la Casa della Carità per cliente fisso ma non esclusivo, garantendo un approdo "morbido" al mercato e decine di posti di lavoro nella ristorazione, o nelle pulizie, a persone che forse non speravano più in un futuro "normale". Per i rom, anche qui dall’aiuto elementare per il riscatto della condizione di bambini e donne, dalla salute all’istruzione a casa e lavoro, per spezzare il ciclo dell’isolamento e della mendicità. Un compito difficilissimo, riconosce don Massimo Mapelli, ma portato avanti con chiari successi che danno coraggio.
Tornando dalla grande Milano alle nostre più provinciali latitudini, a Castellanza sono circa 200 le persone che la Caritas di San Giulio, evoluzione della San Vincenzo, assiste. In maggioranza sono stranieri, soprattutto dell’Est o sudamericani, riferisce il responsabile Giorgio Colombo: tutti forniti di pasti, abiti e buoni spesa a seconda delle necessità. Ottima la collaborazione anche con i servizi sociali del Comune e il Banco Alimentare. Per l’ospitalità ci si appoggia a strutture religiose legnanesi o bustocche; non manca presso la Caritas di San Giulio uno sportello legale-amministrativo per gli stranieri, molto utile per pratiche come i permessi di soggiorno. Per Legnano è invece Paolo Evalli a raccontare con semplicità di «un piccolo miracolo» come la locale Casa della Carità presso la parrocchia di Santa Teresa, sorta cinque anni fa mattone su mattone e ripagata in appena due grazie al contributo di tanti, anche di mezzi modesti. Qui la frequentazione è a maggioranza (55%) italiana. Pensionati, uomini separati e buttati fuori di casa dalle consorti, ma anche tanti individui apparentemente normali ma che, scomparsi o non più autosufficienti i genitori, non sono più in grado di badare a sè e alla propria casa. Una sessantina di volontari, regole da rispettare per gli ospiti ma accoglienza fraterna e una porta aperta con il freddo e il caldo, il sole e la pioggia, le feste e la crisi. Oltre centomila i pasti serviti dal 2004 a fine 2008, in media una sessantina al giorno, con punte di oltre cento. Frammenti dell’impero del Bene che lavora silenzioso e alacre anche nelle nostre terre.
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