Al Molina tra i pazienti in coma. “Qui regnano il dolore e l’amore”
All'istituto varesino "Fondazione Molina" c'è un reparto che accoglie le persone in stato vegetativo. La dottoressa Azimonti racconta il rapporto coi degenti e i loro cari
La dottoressa Azimonti è la responsabile del reparto "comi" alla Fondazione Molina. Da anni accudisce e segue pazienti in stato vegetativo: «Sono persone che non sono in grado di comunicare con noi. Ma non c’è nulla che mi dica con certezza che sono totalmente assenti».
Nel reparto creato al Molina di Varese ci sono attualmente 21 pazienti ricoverati: 18 della provincia di Varese e tre che arrivano dal Piemonte: «Dal dicembre 2007, in Lombardia la legislazione in materia è profondamente cambiata – spiega Roberta Azimonti – Prima, l’assistenza era concordata dall’Asl con la singola struttura e parte della retta veniva sostenuta dal famigliare. Poi, nel dicembre 2007, è stato approvato un decreto che ha creato una rete assistenziale successiva alla cura sanitaria, un percorso che mette in rete l’ospedale, il centro di riabilitazione e il ricovero per la lungodegenza. L’assistenza è interamente a carico della Regione. Purtroppo, però, in Italia non esiste una coscienza unica in questo settore e ogni regione fa a sé».
Tante sono le storie che la dottoressa conosce, esperienze profonde che vengono vissute diversamente da chi assiste il paziente: «Di solito, all’inizio è dura per tutti. Nessuno si accetta che i sorrisi, i pianti, gli occhi aperti o chiusi non siano segni di una vita cosciente. Spesso, il nostro rapporto con questi famigliari è duro perchè ti senti accusare di non fare abbastanza per svegliare il loro caro. Poi, piano piano, arriva la presa di coscienza, ci si rende conto della situazione, la si accetta e inizia una nuova fase che cambia a seconda del carattere di ognuno. Ho visto madri accudire i propri figli in stato vegetativo come se fossero neonati, recuperando quell’istinto che si ha alla nascita. Figli al capezzale di padri o madri con più rassegnazione. Mogli o mariti che curano il proprio coniuge assente con la stessa attenzione e cura che avevano nel rapporto quotidiano della loro vita di coppia».
La maggior parte degli ospiti del reparto "comi" è seguito quotidianamente dai propri congiunti: «Arrivano verso le 11.30 e rimangono fino a sera. Ci aiutano a metterli in piedi e in carrozzina per andare a fare un giro in giardino. Fanno la riabilitazione passiva. C’è chi legge un libro, chi ascolta la musica. Stimolano i sensi per ricordare il vissuto che ognuno ha. Si instaura un rapporto nuovo, molto personale che la morte interrompe senza traumi perchè ognuno, piano piano, prende consapevolezza elaborando il lutto finale».
Le persone in stato vegetativo sono una cinquantina circa nella nostra provincia, quasi cinquecento in Lombardia e 3.000 in tutt’Italia. Hanno età variabili: dai giovanissimi agli anziani. In genere lo stato vegetativo dura in media 4 o 5 anni ma può accadere, specie per pazienti giovani, che la situazione si prolunghi. Lo stato vegetativo viene dichiarato secondo canoni scientifici: se si tratta di trauma cranico, dopo che sono trascorsi sei mesi senza alcun segno di ripresa, se, invece, è dovuto ad una mancanza di ossigeno al cervello per arresto cardiaco prolungato, il tempo di attesa si riduce a tre mesi.
«Oggi la medicina si attiene a queste indicazioni. Non abbiamo altro per capire cosa ci sia in uno stato vegetativo. L’accettazione di questa condizione richiede sempre, al famigliare, un grandissimo sforzo emotivo, spesso, anche fisico. Io stessa e il personale che lavora con me abbiamo grande rispetto di ogni persona ricoverata: bussiamo prima di entrare in una stanza e parliamo al paziente come se ci sentisse. È una situazione che ti tocca nel profondo e tutti quella che la vivono meritano grande rispetto».
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