Federalismo fiscale, “Anticipare l’applicazione, i Comuni soffrono”

Tempi biblici per l'entrata a regime della riforma prevista nel ddl governativo che ha in parte accolto proposte del centrosinistra. La proposta del deputato Antonio Misiani in visita a Busto

Federalismo fiscale e dintorni: questo il tema per l’incontro organizzato lunedì sera dal PD presso il foyer del Museo del Tessile. Chi mostra di avere idee chiare al riguardo è Antonio Misiani (foto), deputato bergamasco del Partito Democratico, giunto in quel di Busto Arsizio a fare il punto della situazione davanti a militanti ed amministratori, mettendo in luce potenzialità e rischi di una fase decisiva per il riordino dei rapporti fra enti locali e governo e per le finanze pubbliche. Centrale è il ddl sul federalismo fiscale (qui un riassunto della bozza) all’esame del Parlamento. Un provvedimento complesso, che rispecchia lo stato «nè carne nè pesce» della via italiana al federalismo. Tema che incontra resistenze anche all’interno del PD, come Misiani riconoscerà discutendo con gli intervenuti. «Quanto c’è di federalista in questo Paese l’abbiamo fatto noi, dalla riforma del Titolo V della Costituzione in avanti. Ma la percezione della gente è un’altra: che al tema pensi solo il centrodestra». Il PD non ha intenzione di stare alla finestra: ha avanzato le sue proposte, in parte accolte, e vigilerà sull’attuazione. Il ddl, lungi dalle sparate da campagna elettorale («del tipo "in Lombardia ci teniamo tutto noi"»), ricalca in vari punti le proposte portate avanti dal centrosinistra, quelle della Conferenza Stato-Regioni. Nessuna pregiudiziale contraria, dunque, anche se la critica all’operato concreto del governo fin qui è dura e puntuale.

– I punti chiave. Tre gli obiettivi fondamentali del ddl governativo elencati da Misiani: accrescere le risorse a disposizione degli enti locali; introdurre responsabilità nella gestione economica degli enti stessi, premiando quelli "virtuosi" e punendo gli amministratori irresponsabili – meccanismi automatici dovrebbero rimuoverli, fino alla non rieleggibilità; infine garantire la solidarietà tramite fondi di perequazione che diano certezza di eguali livelli dei servizi essenziali in ogni regione. (Su quali siano questi livelli si giocherà una partita politica chiave).

– Spese e funzioni. Il documento analizza le funzioni e le spese dei vari livelli gerarchici dell’amministrazione, dallo Stato al Comune, stabilendo "chi fa che cosa" e tre tipologie di spesa. Le spese essenziali o fondamentali, legate alle competenze specifiche del singolo ente, da coprire con tutti i livelli di risorse disponibili: dai tributi locali, il cui peso percentuale sul totale dovrà crescere (per i Comuni previsti in massima misura sulla casa, per le province sui trasporti su gomma, per le Regioni da quote su Iva e Irpef), ma anche i fondi di perquazione con cui le regioni più ricche aiuteranno le altre. Quelle non essenziali o fondamentali, per le quali la perequazione sarà minore; infine gli interventi speciali, finanziati con fondi ad hoc di regioni, Unione Europea, eccetera.

– I controlli. In cima a tutto un complesso sistema di controlli incrociati. Un primo livello, provvisorio, sarà quello della commissione bicamerale sui provvedimenti attuativi, elementi chiave che ad un paio d’anni dall’approvazione del ddl dovranno avviarne l’applicazione concreta; e due permanenti, una conferenza di coordinamento della finanza pubblica, organismo politico, e un parallelo organismo tecnico, una commissione che farà da data room e terrà sotto controllo i numeri della spesa pubblica. 

– Nodi da sciogliere e polemiche. Non sono trascurabili. I tempi di attuazione della riforma, ad esempio: dopo l’approvazione del ddl di delega al governo, due anni per i decreti attuativi e altri cinque dopo per l’entrata a regime del sistema. «Si parla del 2016-2017 se tutto va bene e con la situazione attuale i Comuni ci arrivano morti. Bisogna anticipare, anche perchè il governo con la sua azione va in senso contrario alle buone intenzioni enunciate. Ha abolito l’ICI senza compensare integralmente i Comuni, privandoli di un 15-20% di risorse, bloccato l’autonomia impositiva degli enti locali inchiodando le aliquote, tagliato ulteriormente i trasferimenti dall’erario, un errore già fatto da noi sotto Prodi».
Per tacere dei «regali» alle amministrazioni amiche. A Roma «500 milioni per un presunto "buco" tutto da verificare che avrebbe lasciato il centrosinistra. Alemanno sta scaricando sul resto d’Italia costi che dovrebbero esser a carico della capitale». E ancora i 140 milioni a Catania («altrove certi amministratori sarebbero stati puniti, da noi finiscono in Parlamento»); e ancora a Palermo. In questo quadro di arbitrarietà capricciosa, di cordoni stretti per molti e spalancati per alcuni, l’ANCI ha rotto clamorosamente con un governo «federalista a parole e ipercentralista nei fatti».
Un altro nodo chiave è che la delega al governo è molto ampia, forse troppo: «Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Il federalismo fiscale non è cosa da tecnici: si farannno scelte decisive non solo per gli amministratori, ma per tutti i cittadini, sui servizi essenziali si deciderà che tipo di stato sociale avremo. Si parla del destino di 230 miliardi di euro l’anno, che vanno in cose molto, molto concrete. Abbiamo il diritto-dovere di dire la nostra; e di chiedere che alle buone intenzioni seguano i fatti, perchè Regioni, province e Comuni soffrono. Di chiedere coerenza: non come la Lega che quando abbiamo chiesto il ripristino del patto di stabilità per Roma ha votato contro…»

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Pubblicato il 24 Febbraio 2009
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