Tessile: nel Gallaratese è crisi nera

Sette aziende hanno dichiarato la chiusura per cessata attività. I lavoratori, circa 400 in tutto, usufruiscono della cassa integrazione straordinaria prevista dalla legge. In ginocchio anche i ricamifici

La crisi del tessile in provincia di Varese si trascina ormai da anni senza soluzioni di continuità. Nell’area storicamente a più alta concentrazione di stabilimenti, il Gallaratese, la situazione a inizio 2009 è a dir poco drammatica. La bellezza di sette aziende ha dichiarato la chiusura per cessata attività. I lavoratori, circa 400 in tutto, usufruiscono della cassa integrazione straordinaria prevista dalla legge. Altre situazioni di crisi sono in fase di evoluzione, chi riesce a galleggiare è considerata una mosca bianca o poco più.
L’elenco delle aziende che chiudono è lungo. C’è la Stf di Somma Lombardo, stamperia e tintoria, chiusa per fallimento, con 110 dipendenti a casa; il Maglificio Maris di Ferno, con 55 dipendenti su 60 in cassa integrazione straordinaria; il Maglificio Felis di Cardano al Campo, al secondo anno di applicazione del contratto di solidarietà al 50 per cento, che vuol dire che 26 dipendenti lavorano e 26 non lavorano a rotazione; la Tintoria Schiavini di Samarate, che ha in cassa integrazione straordinaria i 24 dipendenti; la Manifattura Fossa, dove sono 16 i lavoratori in cassa integrazione straordinaria; chiude anche la Tessitura Crenna, che realizzava prodotti in cotone, velluto e stoffe in particolare, che su 82 dipendenti ne ha solo 6 al lavoro per il disbrigo delle ultime pratiche prima dello stop definitivo; sono invece 58 i dipendenti della Tintoria Filati Speciali di via Lazzaretto a Gallarate ad essere in cassa integrazione straordinaria: l’azienda chiude i battenti dopo un anno di cassa ordinaria, epilogo comune per tante delle ditte citate. «Un altro problema grave – commenta Domenico De Felice della Filtea Cgil di Gallarate – è quello della richiesta di pagamento diretto della cassa integrazione, che vuol dire che gli stipendi vengono erogati dall’Inps dopo 5/6 mesi. La soluzione dell’anticipo aiuta, ma senza gli istituti bancari principali è dura comunque».
Le “mosche bianche” come detto sono poche: la Carlo Bassetti di Gallarate, i cui 80 dipendenti per il momento sono tranquilli, la Gaspare Sironi che farà partire la cassa integrazione la prossima settimana per i propri 201 lavoratori, la Tbm che paga la crisi e pensa allo snellimento dell’organico (50 dipendenti). Altro settore in ginocchio nel Gallaratese è quello dei ricamifici: il 90 per cento circa delle aziende (una trentina) ha i lavoratori in cassa integrazione ordinaria (in fase di esaurimento) e straordinaria, per un totale che si aggira sui 500 dipendenti coinvolti.
 
Anche Busto Arsizio, altra storica sede di tintorie e stamperie, paga una crisi ormai lunga: «Ogni giorno arrivano richieste di cassa integrazione – spiega Ernesto Raffaele della Filtea Cgil -. Anche aziende storiche che non avevano mai fatto un ora di cassa adesso devono ricorrere agli ammortizzatori sociali. I dati dicono che peggiorerà ancora, gli ordinativi subiscono cali esorbitanti. Inoltre c’è un altro problema: nessuno ci dice come si ripartirà dopo la crisi. Le stesse aziende temporeggiano, approfittando degli ammortizzatori sociali prima di licenziare per non svuotare le imprese». «Di fronte a tante cessazioni di attività – chiosa De Felice -, i dubbi sulla possibilità che qualcuno voglia approfittare della crisi svaniscono».  

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 26 Febbraio 2009
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