Gallarate, ecco la tessitura che non si arrende

La Carlo Bassetti continua a lavorare ed è l'unica tessile di una certa dimensione rimasta aperta in zona. Il titolare, Riccardo Fiorina, spiega perchè

“Il tessuto, un po’ la facciamo all’estero, un po’ lo facciamo qua. Con questo mix, e mantenendo la progettazione italiana, abbiamo tenuto viva l’azienda”. Fino ad oggi, la crisi del tessile, era una crisi strutturale, ma fisiologica. Oggi, è un uragano totale, e chissà quando finirà. Riccardo Fiorina, ingegnere, valtellinese di nascita, ma gallaratese per storia familiare, è il proprietario della tessitura Carlo Bassetti, la trincea del tessile di Gallarate. L’azienda esiste dal 1870 circa, l’ha ereditata dal nonno. Ogni giorno, dal cancello, entra il filato, che arriva dall’estero (il cotone più pregiato giunge dall’Egitto), ed esce un tessuto, tinto e confezionato, adatto per le camicerie. Lì dentro fanno il tessile da generazioni, hanno memoria storica: “Una volta era tutto qua in Italia: dalla filatura, alla tessitura. Gli svizzeri mettevano i capitali, noi avevano i fiumi per fare l’energia elettrica e la forza lavoro. La raccolta del cotone, nei paesi d’origine, era settembre ottobre. A dicembre il filato non ce la faceva a passare le alpi, e allora gli svizzeri mettevano i soldi in Lombardia, nella val Susa, a Biella.  Poi, cominciarono a chiudere in Inghilterra, in Svizzera in Germania, e alla fine anche noi abbiamo chiuso le filature, è fisiologico, nei paesi di origine costa meno, ma abbiamo tenuto la qualità”.
La ristrutturazione è figlia della divisione internazionale del lavoro, dell’evoluzione della tecnologia. Ma la soluzione c’è: “Noi facciamo anche griffe e made in Italy, produciamo tessuti per camicie, abbiamo una fabbrica in Cina, ma teniamo qui progettazione e una nostra struttura produttiva, per dare risposte immediate alle commesse, e per il prestigio, la griffe non possono comprare tessuto tutto cinese, hanno bisogno di una produzione nazionale”.
Con questo mix, la tessitura è andata avanti, concedendo qualcosa alla delocalizzazione e inventandosi sempre nuove tinte, innovando i tessuti, cercando di stare dietro a ogni nuova mania della moda.
Poi, è arrivata la nuova grande depressione. “Ecco, adesso il problema è serio – racconta Fiorina – alla crisi si è aggiunta crisi. Non sappiamo quanto durerà, non lo sa dire nessuno. Io cerco di tenere le macchine accese, di produrre in ogni caso, faccio tre turni, fino a sabato a mezzanotte, ogni tanto ho la tentazione di ridurli a due, ma se facessi così, non potrei fare una produzione immediata in caso di ordini. Perché il problema è un po’ questo, non farsi abbattere, essere reattivi, dare risposte ai clienti, non ridurre finché è possibile, perché poi si crea un brutto clima, i migliori se ne vanno, e io non voglio. Ci sono imprenditori che piuttosto che arrendersi – continua – ci mettono i loro soldi, qualcuno aveva delle riserve investite, e la crisi finanziaria gliele ha diminuite, è successo anche questo, ma ci sono anche tanti che non vogliono arrendersi, e non fanno, per adesso, la cassa integrazione”.

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Mario Pozzi, recordman di contributi all’Inps 4 di 9
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Pubblicato il 05 Marzo 2009
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