Legrottaglie si confessa: «Dio mi ha fatto tornare in alto»
Il difensore della Juventus si è raccontato a Malnate: «Voglio aiutare le persone a trovare il giusto equilibrio tra sport e religione»
«A 13 anni ho fatto una richiesta e una promessa a Dio: se mi fai diventare calciatore sarò missionario della tua parola». È questa la frase con cui apre il suo discorso Nicola Legrottaglie all’incontro di ieri, giovedì 12 marzo alla chiesa San Martino di Malnate, una testimonianza del suo riscoprirsi credente, spoglio dell’armatura bianconera che lo caratterizza la domenica, ma a volto scoperto, volenteroso di aprire le sue idee a tutti e di mostrare senza veli la sua dicisione di totale appartenenza alla religione e all’insegnamento della Bibbia.
«La vera svolta è avvenuta una sera in una chiesa cristiana evangelica grazie a un pastore che non conoscevo, ma che è stato capace di darmi il consiglio della conversione: essere dipendente a Dio. Esordire in serie A – continua il difensore della Juventus – è stato il massimo, per non parlare del mio approdo a Torino. Credevo davvero di essere arrivato, ma sentivo che mi mancava qualche cosa di speciale perchè non ero né contento né soddisfatto a pieno. L’anno trascorso "in esilio" a Siena ho conosciuto Guzman e in lui vedevo una luce diversa; mi ha insegnato a leggere le sacre scritture nel modo corretto e ho ricominciato a credere in me, alle mie capacità e soprattutto in Cristo. Il Signore mi ha dato una chance che sono riuscito a riconoscere e sfruttare».
Da quel momento Legrottaglie (a sinistra nella foto sopra, con il moderatore della serata Mauro Colombo – foto di Samuele Filippi) ha ricominciato a solcare i palcoscenici più importanti, aderendo anche agli "Atleti di Cristo". «Questo gruppo – spiega il calciatore – è nato in Sud America e qui in Europa non è molto conosciuto. In Italia è nato quasi per caso circa dieci anni fà dall’incontro tra Zè Maria, allora in forza al Perugia, e Marco Aurelio del Vicenza. Da allora si è ampliato molto, ma è formato soprattutto da stranieri: io sono l’unico italiano tra i calciatori, anche se ci sono molti altri sportivi. Conoscevo la sua esistenza sin dai tempi del Chievo, ma solo negli ultimi anni ho cominciato a frequentarlo attivamente. Condivido la dottrina che vuole insegnare, ovvero il vivere lo sport nel modo sano respingendo le tentazioni maligne che purtroppo esistono».
Quella promessa fatta da ragazzino Nicola (nella foto con il presidente dell’Or.Ma.) sta cominciando a rispettarla fin da ora. «Con dei miei colleghi abbiamo cominciato a ritrovarci qualche sera per mangiare una pizza e per parlare del nostro credo. Dopo un po’ di serate assieme ho deciso di fondare la "Missione Paradiso". Essere missionario non vuol dire esclusivamente partire per l’Africa e aiutare il terzo Mondo, io voglio dare il mio apporto qui in Italia. Anche un domani, appese le scarpette al chiodo, vorrò aiutare i miei amici a trovare il giusto equilibrio tra sport e religione, insegnando la differenza tra un vero credente e uno di facciata, la strada giusta che porta a Dio e non alla fede scaramantica di farsi il segno della croce prima di entrare in campo. Sono aperto al dialogo con chiunque me lo chieda, non voglio imporre un mio credo verso chi non lo desidera, aspetto a braccia aperte tutti, cominciando dai miei compagni juventini, magari da quelli più giovani».
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