Liliana Segre: «Varese prima mi salvò e poi mi consegnò ai tedeschi»
La testimone della Shoah parla ai ragazzi del liceo artistico Candiani e ricorda quei momenti cruciali tra Castellanza e il confine, quando col padre venne arrestata e incarcerata nel capoluogo prima di finire a Milano sul binario 21
E’ orami considerata dallo stesso sindaco Gigi Farioli, cittadina onoraria di Busto Arsizio Liliana Segre (foto a sin.)che questa mattina è stata ospite dei ragazzi del liceo artistico Candiani di Busto Arsizio al teatro Manzoni come già altre volte è avvenuto in città. I suoi ricordi, a oltre 65 anni di distanza hanno inchiodato alle poltrone le centinaia di studenti presenti. Ricordi che con il tempo non sono sbiaditi ma hanno trovato ancora più forza e nuovi stimoli per riemergere ed essere raccontati da una donna minuta ma di una forza inimmaginabile alla soglia degli ottant’anni. «Ho trovato la forza di raccontare il mio vissuto di deportata solo una ventina di anni fa – racconta la Segre – dopo un lungo e faticoso processo di elaborazione. Ora sono qui ma non voglio sembrare la mia nonna che mi raccontava sempre la stessa storia». Non è così e i ragazzi, in religioso silenzio, lo sapevano. Prima delle sue parole hanno risuonato nella sala le parole del Presidente della Repubblica Napolitano, che ha risposto ad una lettera di uno studente dell’artistico che l’aveva informato della presenza della Segre con i ragazzi della scuola. «Si chiama Pietro Solinas (nella foto in basso col preside Monteduro) e sarà lui a leggere la risposta del presidente» – ha detto il preside del liceo Andrea Monteduro invitandolo a salire sul palco.
Dopo il saluto del sindaco di Busto Arsizio è iniziato il racconto della Segre a partire dalle assurde leggi razziali italiane fino alla liberazione dalla prigionia di Birkenau dove lavorava in una fabbrica di munizioni. Diversi i momenti toccanti del suo racconto, quando una parte dei suoi parenti scappò in America salvandosi mentre suo nonno li prendeva per pazzi auspicando una fine a breve e indolore della guerra. Nel suo racconto c’è tanto anche di Castellanza, quando riparò in una villa della famiglia Civelli, e del confine di Saltrio, quando col padre e l’aiuto dei contrabbandieri passò il confine ma vennero rispediti in Italia e arrestati. Da lì inizia il vero dramma tra un carcere e l’altro fino alla tremenda separazione dal padre ad Auschwitz. Il toccante racconto tocca tutti gli aspetti della vita del campo di concentramento: «La vita di chi aveva scelto di vivere – racconta la Segre – alcuni si lanciavano contro le recinzioni elettriche e sceglievano di morire ancora prima. Una forza mi ha tenuta appesa alla vita. Dei 600 che partirono col mio convoglio solo venti hanno fatto ritorno».
Dopo il racconto di Liliana Segre è stato proiettato un corto realizzato dagli studenti del liceo sul tema ed è stata ascoltata anche la testimonianza l’esperienza di Angioletto Castiglioni, uno degli ultimi partigiani di Busto Arsizio, anch’egli deportato e sopravvissuto all’orrore nazista.
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