Luoghi di un inspiegabile esilio

Alla Fondazione Bandera in mostra le suggestioni dalle tele di Giancarlo Ossola

Luoghi . Luoghi individuati, descritti, vissuti, sognati.
Luoghi di una realtà esteriore a cui potremmo dare precisi indirizzi e dentro i quali siamo stati legittimi abitanti o temporanei ospiti. Luoghi senza testimoni, luoghi in cui la vita è appena sparita, luoghi in cui le macerie del tempo attestano percorsi passati inutilmente. Lì, nella fisicità dell’azione pittorica, quei luoghi si sono fatti concreta visione.
Sono quei luoghi, così toccati dal tempo a portarci dentro la profondità della memoria, così che gli interni/esterni diventano, metaforicamente, la dimensione di ogni nostra esistenza, d’ogni nostra monotona quotidianità.
In questo passaggio, mentale/gestuale, l’azione del vedere è in grado, da sola, di impossessarsi dei luoghi, di penetrarli, di farli propri e nell’azione mutarsi, diventare, nella  sua metamorfosi, pittura.
Una pittura che muta la memoria, azzera il tempo e il sovrapporsi delle stagioni e come nei sogni produce, nella limitata spazialità del quadro, una coesistenza, una coincidenza; mostra, semplicemente, tutta la concreta verità della pittura.
Non è solo lì la suggestione prodotta dalle tele di Giancarlo Ossola, c’è in esse la consapevolezza di saper coniugare e mutare, in un personale linguaggio, il piacere della pittura.
Un piacere che data da lontano e che dal suo apparire non ha mai derogato. Anche quando, e siamo negli anni sessanta/settanta le tele, senza alcuna apparente visione prospettica, appaiono invase da segni calligrafici, da striature di materia pittorica, da grumi di colore rappreso. Anche quando certi quadri si risolvono in campiture ampie di cielo che preme su esili paesaggi appena accennati ai piedi della tela.
E se l’impostazione dei quadri successivi ( le Fabbriche, le Ville, gli interni domestici) deve molto al Giacometti pittore, per via di quella sorte di scatola pittorica che si presenta come diaframma, come finestra sul luogo di proiezione e di rappresentazione, la tela vive nella materia e della materia della pittura.
Tra quei grumi materici è possibile indagare sia prospetticamente sia scenograficamente il mondo. Perché solo lì dentro la pittura traccia le sue coordinate esistenziali. Dipingere non è bisogno esistenziale. Non è un’azione che attraverso gli elementi del suo “rappresentare”, fatto di segni e colori, costruisce un mondo interiore.
Pittura è trasformare, attraverso segni, colore e luce la tela e il rappresentato, in segmenti di un preciso linguaggio. E’ formare metafore sul mondo. Qui sta il maggior segno di riconoscibilità della pittura d’Ossola, il suo specifico linguaggio pittorico; nella particolare scelta cromatica, nel sapiente uso della luce, in quel mondo metaforico e in quei segni residuali di colore che solo la costanza e la tenacia della pittura sa preservare.
Grazie a complesse epifanie la luce, poi, è in grado di evidenziare oggetti, luoghi, situazioni, ambiti interni ed esterni, profondità di percorsi, distanze e vicinanze, diversità cromatiche.
In una lingua cromatica inconfondibile, giocata tutta su bruni caldi, su ocre, su gialli pallidi e sulfurei, con tonalità fredde e prevalenti di grigi/azzurri, di verdi autunnali.
Una pittura realizzata sulla superficie della tela, attraverso tocchi nervosi e spiritati di pennello, con veloci colpi di bianco che nella potenza della propria luminosità fa apparire l’insieme del quadro con tutto il suo spessore materico.
 
Una luce che non è segno di una descrittività, ma di un contenuto. In grado di conferire, nel gioco visivo dei contrasti i tanti luoghi “presentati,” di provocare, grazie al rimbalzo prodotto dal suo riflesso sui pavimenti, un tocco di dramma, o nell’irradiare lungo le pareti, dei ben definiti luoghi, un senso d’inspiegabile esilio.                                                                                                                           
 
Una luce che da sola suggerisce contrasti, da vita alle cose ne misura gli spazi, li riscatta dall’abbandono di un temporaneo sonno e mostra, nella sua momentaneità, un orizzonte d’assoluta eternità.
Dalla fine degli anni novanta il colore sulla tela si fa più luminoso.
Il gesto pittorico mette in moto un’azione che semplicemente si limita a descrive.  
Dentro questa apparente ma sempre attenta lettura delle cose, la dimensione dell’incanto e quella dello spirito lasciano il campo alla concretezza del reale, e la memoria, non come enigma, non come oblio, diventa la cifra del rappresentato.
Una pittura che non è certamente esercizio di stile, che ancora si pone come strumento d’indagine sulle possibilità della pittura stessa in cui, però, il segno del non tempo, la dimensione dell’abbandono e quel furore del gesto pittorico lascia spazio alla semplice frontalità della visione in una dissolvenza di pennellate dai colori ancora lividi, evocativi di una più naturale azione della pittura. Qui la pittura lascia il campo alla sua cifra metafisica, alla sua dimensione metaforica per lasciarci un mondo e il suo inspiegabile esilio.
E qui, Ossola, ritrova, nella sua lingua pittorica, l’inquieta continuità con il passato e l’inevitabilità del trascorrere del tempo.
 

 

Fondazione Bandera per l’Arte  
Spazi Marginali. Giancarlo Ossola
dall’ 8 marzo al 3 maggio 2009
orario:dal martedì al giovedì dalle 15.00 alle 19.00
venerdì, sabato, domenica dalle 10.00 alle 12.30,dalle 15.00 alle 19.00
giorno di chiusura: lunedì
informazioni:tel. 0331/322311
www.fondazione bandera.it

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Pubblicato il 27 Marzo 2009
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