Da Varese al Canada: 5.500 chilometri per amore dell’hockey
La storia del 15enne Chicco Colombo, figlio dell'ex playmaker della Mobilgirgi Fabio, volato ad Halifax per studiare e migliorarsi nello sport preferito. «Un'esperienza fantastica, a partire dal provino per entrare in squadra»
Cinquemilacinquecento chilometri per inseguire il proprio sogno. L’attrazione fatale per l’hockey su ghiaccio ha spinto un giovane varesino, Federico Colombo, a un’avventura di altri tempi. "Chicco", viene da una famiglia di sportivi e magari molti di voi ricorderanno suo papà Fabio, playmaker che visse gli ultimi fuochi d’artificio della grande Varese del basket tra uno scudetto vinto dalla panchina e due finali europee con la sconfitta di Grenoble nel ’79 e la vittoria in Coppa Coppe contro Cantù l’anno successivo.

Nuovi compagni, nuove realtà, nuova squadra per uno che fino a quel momento aveva indossato le maglie dei Mastini prima e del Lugano poi, con tanto di stop in dogana al Gaggiolo da parte dei finanzieri insospettiti da quel ragazzo in motorino che quasi ogni giorno attraversava la frontiera con un grosso borsone. Ma quando le fiamme gialle hanno capito che Chicco non aveva stecche di sigarette, bensì stecche di legno per ammaestrare dischi di gomma, lo hanno lasciato andare con un sorriso. Ad Halifax dicevamo, l’hockey è religione e per entrare a far parte della squadra Chicco ha dovuto superare un provino con un centinaio di pretendenti. Una volta scelto però, la stagione è stata esaltante: i suoi Cheetahs (ghepardi) hanno chiuso la stagione regolare della Metro Hockey League al quinto posto e nei playoff sono arrivati sino alle semifinali eliminando prima Cole Harbour, poi Halifax West e perdendo solo contro Auburn, testa di serie numero 2.
Chicco, la tua avventura canadese è iniziata con la selezione per entrare nella squadra di hockey. Raccontaci come l’hai vissuta e com’è andata.
«Appena arrivato in Canada ho conosciuto un paio di ragazzi e ho iniziato ad ambientarmi; da subito tutti erano molti tesi per i tryouts della squadra, se ne parlava ovunque, in classe, nei corridoi, alla sera. Io naturalmente non avevo mai affrontato veri e propri provini poiché in Italia e in Svizzera non ci sono così tanti pretendenti: le squadre prendono tutti quelli che si presentano. Il giorno della selezione durante il pranzo è stato annunciato che gli interessati erano attesi in palestra: appena entrato ho visto un’intera tribuna occupata da ragazzi che avrebbero voluto entrare nella squadra. I provini si sono svolti con una serie di 7-8 allenamenti; inizialmente eravamo in 80 e ogni volta c’era una scrematura finché siamo arrivati a completare la rosa con 15 giocatori. E io ce l’ho fatta: immaginatevi la felicità».

«I compagni di squadra mi hanno accolto benissimo, sono stati tutti veramente simpatici e socievoli. La squadra di quest’anno rimarrà per sempre nei miei ricordi: non mi sono mai divertito così tanto in una squadra di alto livello, è stata una esperienza fantastica. Per quanto riguarda la scuola, anche lì mi sono ambientato benissimo anche grazie all’hockey che mi ha aiutato a farmi conoscere ea diventare amico di un sacco di gente».
Non è mancata una parentesi legata al basket, lo sport di tuo papà.
«È vero, siamo stati a Toronto, una città fantastica e un’esperienza eccezionale. Ho potuto conoscere Maurizio Gherardini, il general manager italiano dei Toronto Raptors che si è rivelata una delle persone più gentili al mondo. Mio padre lo conosceva per aver giocato a Forlì quando Maurizio era dirigente in quella squadra: grazie a lui io e i miei compagni abbiamo potuto assistere alla partita con i Lakers e conoscere Andrea Bargnani».
Un anno come questo non si scorda di sicuro. Ma hai già pensato al tuo futuro, da giocatore e da studente?
«Come giocatore non so ancora; sto lavorando duramente e spero un giorno di arrivare a giocare a livello professionistico; l’anno prossimo tornerò al Lugano e mi auguro di trascorrere una stagione vincente anche lì. Per quanto riguarda gli studi ritornerò nella mia classe dello scientifico di Varese: frequenterò la terza e sarà un anno difficile perché dovrò recuperare alcune materie qui in Canada non studio, ma sono sicuro di farcela».
Infine, consiglieresti ai ragazzi della tua età di fare un anno lontano da casa?
«Senz’altro: sto vivendo un’esperienza davvero bellissima che mi permette di conoscere un sacco di persone e vedere luoghi altrimenti irraggiungibili. Consiglieri a tutti di fare un anno come il mio».
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