Altro che pandemia, la morte è dietro l’angolo
Troppe vittime, troppi soggetti a rischio sulle strade: a Busto Arsizio come in tutta la provincia. Pedoni, ciclisti, anziani e non, gli onnipresenti motociclisti: una tragica casistica che mette in discussione un intero modello di mobilità
Quella della sicurezza stradale è ormai un’emergenza a tutti gli effetti per la città di Busto Arsizio, e non solo, purtroppo. Questa città è troppo piccola perchè vi circoli qualcosa di diverso da veicoli motorizzati a quattro ruote: è questa la lezione che si ricava non solo dall’ultima domenica, risultata in tre vittime, tutte donne, di cui due anziane. Il fatto è che la gran parte di quanti sono rimasti uccisi in incidenti stradali negli ultimi anni in città erano pedoni o ciclisti. In gran parte anziani, spesso donne. La casistica è veramente un repertorio drammatico, che preferiremmo non riaprire, ma ci tocca, se non altro per gridare che non è normale, non è accettabile un simile numero di vittime. Sui grandi media si scatena un panico dietro l’altro: terrorismo, pandemie, scenari da giorno del giudizio. Quando poi si va a vedere quali sono i pericoli reali, sono quelli dietro l’angolo. Letteralmente. Pedoni, ciclisti, anziani, sono un riassunto delle categorie a rischio in città, cui andrebbero aggiunti anche i motociclisti: l’ultima vittima bustese prima delle tre donne di domenica scorsa, Sara Di Marco, era a bordo di uno scooter; stessa situazione per Stefano Merlo, il 40enne gestore del circolone del Buon Gesù perito poco prima di Natale. L’esperienza del territorio provinciale ci insegna che i centauri sono però protagonisti di incidenti di norma fuori città, là dove si possono liberare i cavalli e pigiare sull’acceleratore. Là dove, con la velocità, il benchè minimo errore, proprio o altrettanto spesso altrui, nelle condizioni di assoluta insicurezza intrinseca del mezzo non implica il rischio della morte: è la morte. Ben che vada l’invalidità, o la fine forzosa della passione di una vita. Perchè? Si sono viste tragedie inaudite ultimamente, fino alla distruzione di intere famiglie colpevoli di null’altro che di una passione rombante. Nè sfuggono purtroppo ai pericoli della strada gli stessi automobilisti, di solito nella parte di inavvertiti e involontari carnefici. Sempre una domenica a Busto Arsizio aveva visto la tragica fine di Remo Brazzelli e della compagna Mariangela Taveggia, nel novembre scorso. La loro colpa? Una svolta a sinistra, fatta con una piccola Smart invece che con un carro armato.
Cadono davvero le braccia al pensiero delle tante vite stroncate sulle strade, e non consola affatto l’idea che diminuisca tra di esse la percentuale dei giovani: non è che un dato demografico, in una società in maggioranza matura o anziana. Nè i commenti della autorità competenti , a Busto o a Timbuctù, possono andare molto oltre lo wishful thinking, o una mera espressione di buone intenzioni. Gli interventi di educazione alla sicurezza stradale sono apprezzabili ma richiedono tempo, troppo tempo, per andare a cambiare una società che sembra fatta apposta per produrre una quantità industriale di vittime della strada. La loro progressiva diminuzione nel tempo, in termini di numeri assoluti a livello nazionale, appare anche qui più dovuta a fattori demografici che non a reali cambiamenti del modello di mobilità obbligata, individuale e frenetica che produce queste stragi. Nè la repressione dei comportamenti a rischio, spesso, sembra avere altro effetto che di rimpinguare le casse.
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