Com’è difficile lavorare in Italia. Parola di svizzeri
Un dibattito non formale ha animato l'assemblea annuale della Regio Insubrica, in nome di uno scambio tanto proclamato ma che ancora non funziona. Per colpa della burocrazia italiana
Cercare lavoro, per dipendenti ed imprenditori, non è mai facile, ma in queste zone di frontiera è più facile per un italiano andare a lavorare in Svizzera che per uno svizzero lavorare in Italia.
E’ stato ripetuto come un mantra, questo concetto, nell’incontro sullo stato degli accordi bilaterali tra Svizzera e Ue che ha animato l’assemblea annuale della Regio Insubrica.
Una assemblea non istituzionale, che ha affrontato senza retorica i nodi veri di un rapporto che stenta a decollare. Accordi che dalla parte elvetica sono stati considerati come “a senso unico”: buoni per gli italiani ma improponibili per gli svizzeri.
Una obiezione supportata da un problema che sembra insolubile: l‘eccessiva burocrazia italiana. Vissuta dagli svizzeri come un ostacolo insormontabile, e dagli italiani come una caratteristica endemica alla quale non ci si può fare altro che adeguare.
«Il Ticino è disarmato di fronte alle difficoltà burocratiche italiane. E se la burocrazia fosse una forma di protezionismo? Un modo per chiudersi verso l’esterno?» Si domanda Laura Sadis, consigliera di stato del Canton Ticino.
«Noi italiani abbiamo le nostre regole, che sono complicate. Non è che abbiamo regole semplici che complichiamo apposta per gli svizzeri» puntualizza Nello Parravicini, componente della giunta della Camera di Commercio di Como. Anche se il senatore Fabio Rizzi, proprio da quel palco promette di fare di tutto a Roma per renderle più semplici.
Fattostà che per andare a lavorare in Svizzera nel 2008 sono arrivate all’autorità svizzera 13.854 notifiche in totale, tra cui 1942 indipendenti, che si aggiungono ai 43754 frontalieri che lavorano da dipendenti stabili nelle aziende svizzere, mentre gli spostamenti lavorativi degli svizzeri in Italia si contano a manciate.
«Si sente una certa preoccupazione sul fatto che i lavoratori italiani andrebbero a togliere lavoro agli svizzeri – ha commentato nel suo intervento il presidente dell’Unione Industriali di Varese Michele Graglia – Io invece discuto con i rappresentanti delle imprese varesine perchè sostengono dei costi per preparare tecnici, che però poi vanno in Svizzera. Chi ci perde alla fine?»
Un fatto confermato dal presidente della provincia di Varese, e con l’assemblea neo presidente della Regio Insubrica, Dario Galli «Qui tutti vogliono andare in Svizzera a lavorare: il che significa che in questo scambio anche noi perdiamo qualcosina, come per esempio il know how dei nostri lavoratori».
Cosi alla fine la domanda è: «vengono sfruttati adeguatamente gli accordi? E se no, perchè?» domanda pronunciata da Monika Ruehl Burzi, ambasciatrice del segretariato di stato all’Economia svizzera. Perchè: «Tra Svizzera e Italia’è ancora alto potenziale sviluppo: potenziale che non può prescindere dagli accordi bilaterali».
Per risolvere la questione, «Una informazione chiara, completa ed esaustiva è un tassello indispensabile: come del resto una stretta collaborazione tra istituzioni e associazioni di categoria – ha ribadito l’ambasciatrice – E poi ci vogliono meno parole e più concretezza per affrontare le problematiche: come un gruppo di lavoro, che faccia da cinghia di trasmissione. Un gruppo che è già stato costituito nel 2004, ma che non è mai partito veramente».
«Il gruppo è dal 2003 che c’è ma non si è mai riunito – conferma Roberto Forte, direttore della Regio Insubrica – Evidentemente perchè è meglio lanciare frecce dal proprio angolo che fare un tavolo tecnico, come invece avviene nel resto d’Europa. Ora però è arrivato il momento di smettere di parlare, e cominciare a fare le cose».
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