Dal flirt al “suicidio virtuale”, gli italiani al tempo di Facebook

Presentato a Librando il libro di Mattia Carzaniga e Giuseppe Civati sul social network che in Italia conta 10milioni di utenti

Un luogo in cui poter essere vanitosi? Forse, ma anche in cui bisogna essere se stessi. Un antidoto alla solitudine? Può darsi, ma alla lunga annoia. Un grande bacino per potenziali flirt? Può funzionare, ma solo da “aperitivo” prima di incontri reali. Tutto questo, e molto altro, è Facebook, il social network nato nel 2004, ma che in Italia ha visto il boom nel 2008 fino ad arrivare a 10milioni di utenti.
Del ruolo di questa grande “piazza virtuale” si è parlato ieri sera, domenica 24 maggio, a Samarate sotto il tendone di Librando con Mattia Carzaniga (nella foto al centro. Primo da sinistra Simone Gambirasio, moderatore dell’incontro) e Giuseppe Civati autori di “L’amore ai tempi di Facebook” (Baldini Castoldi Dalai editore, 12 euro).
Il titolo, come sottolineano gli autori, è “copiato” da “L’amore al tempo del colera”, ma, sia per il tipo di amore che per il tempo, questo libro si discosta dall’opera di Gabriel Garcia Marquez. «Non parliamo di amore in senso stretto – spiega Civati -, anche se un capitolo dedicato al corteggiamento su Facebook c’è. Si tratta di un amore “gassoso” (altra “copiatura” famosa, da la “società liquida” del sociologo Zygmunt Bauman, ndr) in cui l’affettività e l’amicizia assumono caratteristiche particolari. Un social network, per sua stessa definizione, è un mezzo studiato apposta per moltiplicare le occasioni di interazione. Proprio per questo, in un’epoca in cui le occasioni di socializzazioni diminuiscono, uno dei motivi per cui ci si iscrive è la solitudine». Su Facebook, infatti, sembra più facile costruire relazioni anche con il vicino di casa che non salutiamo quando lo incontriamo, ma che diventa nostro amico virtuale. «Abbiamo l’impressione che Facebook ci si possa collegare a tutto il mondo – dice Carzaniga -. A differenza di altri strumenti su Facebook ci si registra con il proprio nome e cognome e non con nickname strani. Questo ti permette di essere te stesso, ma con uno “schermo” davanti. L’idea è quindi quella di essere riconoscibili e di scegliere cosa rappresentare agli altri di se stessi».
Una sorta insomma di autobiografia collettiva in cui io racconto qualcosa di me, magari dando più risalto ai lati belli piuttosto che agli altri, ma in cui sbircio anche nella vita degli altri. «Credo che questo social network non abbia inventato nulla: egocentrismo e narcisismo sono una componente della nostra società – continua Civati -. Il presidente del Consiglio è l’esempio perfetto di questo modello. Facebook semplicemente fornisce il palcoscenico su cui rappresentarsi». E se in questo qualche rischio di esagerazione collettiva c’è, i due autori evidenziano che lo strumento contiene però anche l’antidoto. «A volte il narcisismo diventa così esasperato , che scatta la necessità nell’utente stesso di prendersi in giro e di usare l’ironia. E poi, è vero che gli amici su Facebook lo sono “per modo di dire”, ma tanti dei nostri contatti sono amici veri anche nella realtà. Più di tanto quindi non si può fingere».

Divertimento a parte, Facebook ha anche assunto un ruolo più serio. I gruppi contro la mafia, le campagne a sostegno di Aung San Suu Kyi, il passaparola per scendere in piazza a favore di Eluana Englaro e tanti esempi simili sono all’ordine del giorno. Anche la politica ha scoperto la potenzialità dello strumento. «Ne fa però a volte un uso sbagliato e inutile – commenta Civati -. Su Facebook bisogna essere sinceri, diretti, brevi e costanti. Già queste caratteristiche riducono di metà la possibilità di successo dei politici sul social network! Può essere invece uno strumento molto utile per la politica a livello locale: ad esempio, si possono creare gruppi o eventi che interessano da vicino un numero limitato di persone con un discreto successo». 
Se questa quindi è la realtà di Facebook, qual è il suo futuro? «Chi lo usa già da tempo – conclude Carzaniga – può annoiarsi. In tanti arrivano ad un certo punto al suicidio virtuale. Il nostro augurio è che l’interazione virtuale continui a svilupparsi, ma che aumenti anche la partecipazione a cause “vere” e non solo a “più mojito per tutti”».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 25 Maggio 2009
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